Vivere ai Caraibi è spesso considerato un sogno. Mare turchese, frutta tropicale, sole tutto l’anno. Eppure, chi vive davvero in Repubblica Dominicana sa che dietro quella cartolina si nasconde una realtà economica che, ogni giorno di più, assomiglia a un cortocircuito: i prezzi salgono come in Europa, ma i salari restano fermi ai livelli del Sud del mondo.
Ciò che sorprende ancora di più è che anche i prodotti locali, quelli coltivati, pescati o allevati nel Paese, costano ormai quanto — e talvolta più — che in Italia o in Spagna. È un fenomeno che chi vive qui avverte ogni volta che fa la spesa, ma che ha radici profonde e strutturali.
Una catena lunga e costosa
La prima causa è la struttura della filiera. In Repubblica Dominicana, tra chi produce e chi compra ci sono troppi passaggi intermedi.
Il contadino vende a un grossista, che rivende a un distributore, che infine rifornisce i supermercati o i colmados. Ognuno di questi passaggi aggiunge un ricarico.
Così, il pomodoro raccolto a Sánchez o a Cotuí per 10 pesos al chilo arriva al banco di Las Terrenas a 70 pesos.
In Italia o in Francia esistono cooperative, consorzi e sistemi di distribuzione che riducono i costi e garantiscono margini più equi. Qui, invece, il piccolo produttore non ha potere contrattuale, e il prezzo finale lo decide chi controlla la logistica, non chi lavora la terra.
Agricoltura fragile e resa bassa
Un’altra differenza sostanziale è la produttività agricola.
Gran parte delle aziende dominicane è piccola, familiare e poco meccanizzata. I campi si lavorano ancora con mezzi rudimentali, senza sistemi di irrigazione moderni, e spesso senza accesso a sementi di qualità.
In più, l’energia elettrica e il carburante — necessari per pompare acqua, refrigerare i prodotti e trasportarli — sono tra i più costosi dei Caraibi.
Il risultato è che anche un prodotto “locale” incorpora costi internazionali, e finisce per costare quasi come in Europa, dove però il lavoratore guadagna cinque o sei volte di più.
Prezzi fissati sul dollaro e sul turismo
Il peso dominicano è una moneta fragile, che negli ultimi anni si è svalutata in modo costante.
Molti commercianti, per proteggersi, prezzano in dollari anche ciò che non ha alcuna ragione di esserlo: affitti, carburanti, e perfino frutta o verdura nelle zone turistiche.
A Las Terrenas, Samaná, Punta Cana o Cabarete, il mercato locale non è più “locale”, ma una vetrina per chi arriva con valuta forte.
L’avocado, il mango o il pesce fresco si vendono allo stesso prezzo che un turista europeo considera “basso”, ma che per un dominicano equivale a un lusso.
È l’effetto collaterale dell’economia del turismo: il Paese vende ai ricchi, ma fa vivere i suoi cittadini come poveri.
Speculazione e assenza di regole
A questa distorsione si aggiunge la mancanza di controllo dei prezzi e la cultura della speculazione.
In assenza di un’autorità che regoli il margine di guadagno, ogni commerciante adatta il prezzo in base al cliente.
Un chilo di riso o di patate può costare 20 pesos in un mercato di barrio e 60 in un supermercato frequentato da stranieri.
In Europa, anche nei mercati liberi, esistono controlli, cooperative di categoria e strumenti per evitare l’eccesso di intermediazione.
Qui, invece, il prezzo si forma per “percezione di valore”, non per costo reale. Se un prodotto “può sembrare caro”, allora lo diventa.
Costi di produzione gonfiati dall’energia e dai trasporti
Produrre, conservare e trasportare alimenti nella Repubblica Dominicana costa quasi quanto in Europa, e in certi casi di più.
La corrente elettrica è tra le più care della regione, il carburante si paga in dollari, e le infrastrutture — strade, magazzini, celle frigo — spesso sono insufficienti.
Un camion che trasporta banane da La Vega a Las Terrenas consuma carburante importato dagli Stati Uniti, paga pedaggi, tasse municipali, e affronta strade dissestate. Tutto questo si riflette sul prezzo finale.
Il risultato? Il consumatore paga prezzi “internazionali” per un prodotto nazionale.
Oligopoli e concentrazione del mercato
In alto nella catena ci sono pochi grandi distributori e catene di supermercati che controllano la logistica alimentare del Paese.
Quando pochi attori dominano la distribuzione, possono mantenere i prezzi alti senza timore della concorrenza.
I piccoli negozi non riescono a competere, e finiscono per allinearsi.
In mancanza di una politica agricola e commerciale moderna, il libero mercato diventa un mercato di pochi.
Il paradosso più evidente
Un esempio che riassume tutto: le banane.
In Europa arrivano da Ecuador o Costa Rica e costano circa 1,50 euro al chilo.
In Repubblica Dominicana, dove crescono a ogni angolo, spesso costano lo stesso o di più.
È un simbolo perfetto di un sistema in cui i prezzi non dipendono più dal luogo di produzione, ma dal potere d’acquisto di chi compra.
Un Paese tropicale, che produce mango, cacao, caffè e pesce, ma dove mangiare bene diventa un lusso.
Due economie nello stesso Paese
La Repubblica Dominicana vive oggi una doppia realtà economica:
una per chi guadagna in dollari — turisti, espatriati, investitori — e una per chi guadagna in pesos, cioè la maggioranza della popolazione.
Le due economie si sovrappongono ma non comunicano tra loro.
Il dollaro detta i prezzi, ma il peso paga i salari.
Questa frattura crea un effetto devastante: il costo della vita sale, ma il potere d’acquisto scende, e chi lavora nel Paese finisce per essere straniero a casa propria.
Un sistema che va ripensato
La soluzione non è semplice, ma passa da alcune scelte strutturali:
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ridurre l’intermediazione tra produttore e consumatore,
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sostenere le cooperative agricole,
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investire in logistica, trasporto ed energia,
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proteggere il mercato interno da speculazioni e prezzi in valuta estera.
 
Soprattutto, serve una politica economica che agganci i salari al costo reale della vita, e non al passato.
Perché non si può vivere con stipendi da 400 dollari in un Paese dove un chilo di carne ne costa quasi 10, o dove un affitto a Las Terrenas supera quello di una cittadina italiana.
Il mito del “Caribe economico” appartiene al passato.
Oggi la Repubblica Dominicana è un Paese con costo europeo e reddito africano, in cui chi guadagna in dollari vive bene, e chi guadagna in pesos sopravvive.
E finché i prezzi saranno fissati guardando al turista, non al cittadino, il sogno tropicale resterà un miraggio: bello da cartolina, ma amaro nella realtà quotidiana.



























