Il dibattito sulla cittadinanza italiana torna al centro dell’attenzione, soprattutto nelle comunità italiane del Nord America, Centro America e Caraibi. La nuova proposta di legge presentata dal MAIE introduce un tema fondamentale: il ruolo della lingua italiana nella trasmissione dell’identità nazionale alle generazioni nate e cresciute all’estero.
Secondo quanto riportato anche da Italianismo, la proposta garantirebbe la cittadinanza automatica a figli e nipoti di italiani, mentre richiederebbe un certificato di lingua italiana B1 a partire dalla terza generazione. Un cambiamento che molti temevano potesse costituire un ostacolo. Ma è davvero così?
Lingua italiana: non un limite, ma una forma di appartenenza
Per una larga parte della nostra comunità, il nuovo requisito non rappresenta affatto una barriera. Al contrario, è percepito come una prova seria di legame culturale, un modo per dimostrare di non cercare “un passaporto in più”, ma di voler davvero far parte della storia e delle radici della propria famiglia.
Molti italo-discendenti, infatti, rivendicano con orgoglio la propria italianità: studiano l’italiano, mantengono tradizioni, celebrano la cucina, la cultura e il patrimonio familiare. Ottenere un livello B1, ovvero una conoscenza di base ma concreta della lingua, è un traguardo ampiamente alla portata di chi desidera davvero la cittadinanza.
In altre parole: non è un ostacolo, è un ponte.
Perché il test linguistico è un valore aggiunto
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Rafforza il senso di appartenenza: la lingua è il primo elemento identitario condiviso da una comunità.
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Crea continuità con le radici: molte famiglie hanno perso l’italiano nel corso delle generazioni; il test spinge a recuperarlo.
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Favorisce l’integrazione in Italia di chi desidera trasferirsi per studio o lavoro.
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È un livello “raggiungibile”: non parliamo di italiano avanzato, ma di un livello intermedio, già richiesto in molte altre procedure di cittadinanza europee.
Molti italiani all’estero lo ricordano: i nostri nonni sono partiti parlando solo italiano (e spesso dialetto), e il loro primo gesto per integrarsi fu imparare la lingua del Paese che li ospitava. Oggi, il percorso si completa al contrario: chi desidera riconquistare la cittadinanza dei suoi antenati dimostra impegno e amore studiando l’italiano.
Un messaggio alla nostra comunità nelle Americhe
Nel contesto degli Stati Uniti, del Canada, del Messico, della Repubblica Dominicana e di tutta l’America Latina, dove vivono milioni di italo-discendenti, il requisito linguistico va visto come un’opportunità e non come una punizione.
È anche un invito a:
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rafforzare i corsi di italiano nelle associazioni locali,
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coinvolgere scuole e centri culturali,
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lavorare in rete con consolati, Comites e istituzioni italiane all’estero.
Una comunità che parla italiano è una comunità che rimane viva, visibile e rilevante anche nei rapporti con l’Italia.
La proposta MAIE introduce certamente una novità, ma lo fa seguendo una logica chiara:
E chi desidera davvero diventare cittadino italiano non teme un test linguistico: lo accoglie come un atto d’amore verso la propria patria d’origine.

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