Chi entra in una prigione della Repubblica Dominicana spesso non entra in un luogo di detenzione, ma in un mondo parallelo, dove lo Stato arretra, la legge scompare e la sopravvivenza diventa una questione quotidiana. Definirle carceri è, in molti casi, un eufemismo. Per molti detenuti – dominicani e stranieri – sono semplicemente un inferno sulla terra.
Nelle prigioni dominicane convivono sovraffollamento estremo, violenza strutturale, corruzione diffusa e condizioni igienico-sanitarie che in Europa sarebbero considerate incompatibili con qualsiasi standard di civiltà giuridica.
Il problema non è nuovo. È noto, documentato, denunciato. Eppure continua.
Sovraffollamento e abbandono
In molte carceri tradizionali il numero dei detenuti supera di due o tre volte la capienza prevista. Celle progettate per dieci persone ne ospitano venti o trenta. Si dorme a turni, per terra, su cartoni o amache improvvisate. L’aria è irrespirabile, il caldo soffocante, l’acqua insufficiente.
In questo contesto parlare di rieducazione è quasi offensivo. Qui non si sconta una pena: si resiste.
Il carcere comandato dai detenuti
In molte strutture lo Stato non controlla realmente ciò che accade all’interno. Il potere è spesso nelle mani dei cosiddetti capitanes o jefes, detenuti che governano interi padiglioni con il tacito consenso – o l’impotenza – delle autorità.
Chi ha denaro può comprare una cella meno affollata, un ventilatore, protezione. Chi non ha nulla diventa inermi, esposto a violenze, ricatti, abusi.
La legge del più forte sostituisce il codice penale.
Igiene, salute e dignità negate
Bagni fatiscenti, scarichi a cielo aperto, insetti, ratti. Le malattie infettive circolano facilmente, l’assistenza medica è scarsa o inesistente. I farmaci spesso devono essere forniti dalle famiglie, quando esistono famiglie in grado di farlo.
Il detenuto non è solo privato della libertà: è spesso privato della dignità.
Stranieri: invisibili e vulnerabili
Per i detenuti stranieri la situazione è ancora più drammatica. Barriera linguistica, mancanza di rete familiare, lentezze burocratiche. Molti restano in carcere mesi o anni oltre il dovuto, in attesa di documenti, espulsioni o semplici firme.
Gli italiani arrestati nella Repubblica Dominicana conoscono bene questo rischio: basta un errore, un’accusa, una custodia cautelare che si prolunga, e l’inferno diventa realtà.
Il doppio sistema: carceri nuove e carceri dimenticate
Negli ultimi anni il Paese ha avviato un sistema penitenziario “moderno”, con alcune strutture più ordinate e controllate. Ma si tratta di un sistema parallelo, che convive con decine di carceri tradizionali lasciate al degrado.
Due detenuti, stesso reato, stessa pena. Due inferni diversi.
La giustizia, così, non è uguale per tutti.
Una ferita aperta per lo Stato di diritto
Una società si giudica anche da come tratta chi ha sbagliato. Le carceri dominicane raccontano uno Stato che punisce, ma non rieduca; che rinchiude, ma non si assume fino in fondo la responsabilità della custodia.
Finché le prigioni resteranno luoghi di abbandono e violenza, la pena non servirà a reintegrare, ma solo a distruggere ulteriormente.
Le carceri dominicane non sono un problema marginale. Sono uno specchio impietoso delle contraddizioni del Paese: potere senza controllo, leggi senza applicazione, diritti senza garanzie.
Chiamarle “inferno sulla terra” non è retorica. Per molti detenuti, purtroppo, è una descrizione letterale.

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