Dietro facili titoli su migranti “irregolari” e “contro l’immigrazione”, si nasconde una crisi di diritti umani che coinvolge un’intera generazione di profughi: gli haitiani che cercano rifugio nella Repubblica Dominicana.
Decine di migliaia di uomini, donne e bambini haitiani sono costretti a fuggire da povertà e violenza — ma vengono accolti con deportazioni espresse, controlli nei pronto soccorso, paura e sospetto. Spesso lasciati senza tutele.
Organizzazioni umanitarie, religiose e internazionali hanno denunciato come queste misure assumano tratti “razzisti”, “discriminatori” e “xenofobi”: un approccio che nega dignità e diritti fondamentali.
Ciò che preoccupa è che questa logica non sembra emergenziale, ma strutturale: chi ha bisogno di aiuto viene trattato come un problema da isolare, non una persona da proteggere. In un mondo in cui l’Europa e l’Italia guardano con crescente attenzione ai flussi migratori e ai diritti umani, questi episodi chiamano in causa anche la coscienza internazionale.
In sintesi: la “guerra contro l’immigrazione irregolare” rischia di trasformarsi in una forma di apartheid sociale. Per un lettore europeo, è un promemoria acuto di come politiche migratorie e diritti umani siano intrecciati — e di quanto la dignità delle persone non possa essere barattata in nome della sicurezza o del benessere nazionale.
Domanda da portare a casa: un paese che pretende di rappresentare stabilità e sviluppo può davvero sacrificare i diritti di chi è più vulnerabile?

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