giovedì 14 agosto 2025

Las Terrenas. Oltre 650 pratiche e più di mille connazionali aiutati: il lavoro di Vittorio Spadaro con "Assistenza agli Italiani"


A Las Terrenas c’è un punto di riferimento che gli italiani conoscono bene. Non è solo un ufficio, ma un luogo dove trovare ascolto, risposte e, soprattutto, una mano tesa. Quel luogo si chiama Assistenza agli Italiani e a guidarlo c’è Vittorio Spadaro.

All’inizio, si partì dalle pratiche più semplici: accesso ai portali ministeriali FAST.IT e PrenotaMi, iscrizione all’AIRE, fissare appuntamenti con l’Ambasciata. Poi arrivarono i casi complessi: passaporti smarriti o scaduti da anni, certificati introvabili in Italia, registrazioni mai fatte per figli nati all’estero, visti chiesti all’ultimo minuto.

Oggi Vittorio ha seguito oltre 650 pratiche e parlato con più di mille connazionali, ricevendo richieste non solo da Las Terrenas, ma da tutta l’isola e persino dal Centro e Nord America. Tutto questo senza mai chiedere un centesimo, perché Assistenza agli Italiani è – e resterà – un servizio completamente gratuito, fondato sulla dedizione e sulla difesa dei diritti degli italiani all’estero.

«A volte è faticoso – racconta – bisogna seguire le procedure alla lettera, proteggere i dati personali e avere pazienza con chi è in ansia. Ma la soddisfazione, quando vedo una pratica chiusa o ricevo la foto di un nuovo passaporto, ripaga ogni sforzo».

Assistenza agli Italiani di Las Terrenas è molto più di un ufficio: è la dimostrazione che, con passione e organizzazione, si può essere vicini agli italiani nel mondo, ovunque essi si trovino.

Contatti – Assistenza agli Italiani – Las Terrenas

Indirizzo: Plaza Mango – Las Terrenas
Orari di apertura: lunedì – venerdì, dalle 9 alle 17, sabato: 9 - 12
Telefono: 809 968 9275
E-mail: sportelloitalialasterrenas@gmail.com

L’uragano Erin spaventa e se ne va?

Tanto rumore per nulla? È ancora presto per dirlo ma tutto lo lascerebbe prevedere. Se la tendenza evidenziata dagli esperti del Centro Nazionale degli Uragani di Miami fosse confermata, Erin, che al momento è ancora allo stato di tormenta tropicale, diventerà uragano nella giornata di domani e comincerà a cambiare la sua rotta.

Come si può vedere dall’immagine che pubblichiamo, attualmente si trova ancora nell’Atlantico, lontano dalle Antille Minori e Maggiori, viaggia verso ovest, ma domani dovrebbe cominciare a muoversi con direzione nord ovest, lasciando al sud, nella giornata di domenica, Porto Rico e la Repubblica Dominicana, dove si preannunciando mareggiate e qualche pioggia.

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Poi Erin prenderà decisamente la direzione del nord dirigendosi in acque libere.

A questo punto si saprà se continuerà in mare aperto o interesserà le Bermuda o la costa atlantica degli Stati Uniti.

Ma tutto questo sarà chiaro solo all’inizio della prossima settimana.

mercoledì 13 agosto 2025

Ferragosto 2025 – Solo a Santo Domingo. E gli altri? Stanno bene così.



Editoriale semiserio sull’arte tutta italiana di fare festa… centralizzata.

SANTO DOMINGO – Anche quest’anno il grande Ferragosto italiano in Repubblica Dominicana si celebrerà dove? Ma a Santo Domingo, ovviamente. Perché mai pensare che ci siano italiani altrove?

A quanto pare, noi di Puerto Plata, Las Terrenas, Samaná, La Romana, Santiago esistiamo solo sulla carta d’identità. Per il Ferragosto ufficiale siamo come i parenti lontani: ti ricordi che ci sono solo a Natale… se va bene.

Il paradosso tropicale

In Italia, il 15 agosto tutti scappano dalle città verso mare e montagna. Qui, per festeggiare, dobbiamo fare l’opposto: lasciare le nostre spiagge paradisiache e infilarci in un parco della capitale. Per sentirci dire che “l’italianità è ovunque”, salvo poi scoprire che… no, è solo lì.

Proposta indecente: un Ferragosto itinerante

E se invece il Ferragosto diventasse itinerante?
Un anno a Puerto Plata con grigliata di pesce e musica dal vivo.
L’anno dopo a Las Terrenas con linguine ai frutti di mare locali e musica italiana in riva al mare.
Poi a La Romana, con spritz al tramonto e gara di tiramisù.

Sarebbe anche un’occasione per scoprire la Repubblica Dominicana fuori dalle tangenziali di Santo Domingo e per dare a tutti, ma proprio a tutti, la possibilità di festeggiare senza macinare 300 chilometri.

Un piccolo sforzo, un grande passo

Non servono milioni, basta un po’ di organizzazione e un briciolo di fantasia. E magari il coraggio di rompere una tradizione che, a ben vedere, non è nemmeno tradizione ma semplice comodità.

Allora, cari organizzatori, che ne dite?
Il prossimo Ferragosto… ci vediamo a casa nostra?

lunedì 11 agosto 2025

Erin minaccia di trasformarsi in un fortissimo uragano però non dovrebbe interessare la RD


Nelle acque dell’Atlantico sta prendo forza, Erin, attualmente tormenta tropicale ma che, secondo gli esperti, si trasformerà nei prossimi giorni in un potentissimo uragano.

Attualmente è ancora lontano e si sta dirigendo verso ovest. Mercoledì prenderà forza di uragano per aumentare via via di intensità fino a essere “devastante” nella giornata di sabato quando ancora sarà in acque oceaniche. La tendenza lo porterebbe a interessare le coste degli Stati Uniti. Quindi, se non ci saranno imprevisti cambiamenti di rotta, nessun pericolo per la Repubblica Dominicana.

Gli esperti del Centro Uragani di Miami lo stanno monitorando e ne seguono la traiettoria emettendo costantemente un aggiornamento dei loro bollettini.

Gli esperti in diritto costituzionale mettono in discussione il rinnovo massivo della “cedula”

 


Il massiccio rinnovo delle carte d'identità e di identificazione degli elettori ordinato dalla Commissione Elettorale Centrale, per un costo stimato di 6 miliardi di pesos, ha riaperto il dibattito sulla portata dei suoi poteri, sulla validità del documento e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.

Dubbi sono sorti dal 2014, quando la Commissione Elettorale Centrale ha deciso di rilasciare carte d'identità con scadenza al 2024, in un'errata interpretazione della legge che stabiliva una scadenza decennale ma non ne rendeva impossibile il rinnovo.

Si è proseguito con la Risoluzione n. 15/2022, approvata dall'Assemblea Plenaria dell'organismo, che ha stabilito che l'attuale carta d'identità sarebbe rimasta valida fino alle elezioni comunali, congressuali e presidenziali del 2024 e, allo stesso tempo, ha presentato il disegno di legge per modificare il formato e la plastica del documento.

Il punto controverso della risoluzione del 2022 che introduce la nuova carta d'identità è questo:

In questo considerando si chiarisce che la JCE ha interpretato che, con l'entrata in vigore della legge 15-19, sostituita dalla legge 20-23, è scomparso l'articolo che stabiliva giuridicamente la validità decennale della carta d'identità, contenuto nella legge abrogata 8-92 e nel suo emendamento 26-01.

"Sebbene sia vero che gli effetti della Legge n. 8-92, come modificata dalla Legge n. 26-01, siano venuti meno, in virtù dell'abrogazione di entrambe le leggi con l'entrata in vigore dell'attuale Legge n. 15-19, Legge Organica del Regime Elettorale, specificamente per quanto riguarda il periodo di validità decennale (10) a cui era soggetta la Carta d'Identità ed Elettorale, la Plenaria della Giunta Elettorale Centrale ritiene necessario adottare le disposizioni necessarie al fine di dissipare eventuali dubbi della popolazione circa la validità dell'attuale formato e della plastica della Carta d'Identità ed Elettorale."

In pratica, ciò significa che un cittadino che ha ottenuto il documento nel 2019, ad esempio, lo ha visto scadere dopo cinque anni, non dieci come stabilito dalla legge vigente all'epoca.

Poteri in discussione

L'articolo 20, comma 12, della legge 20-23 conferisce alla Commissione Giudiziaria il potere di modificare, mediante delibera, la struttura, il formato e il contenuto della carta d'identità, ma non le conferisce espressamente il potere di stabilire o ridurre i periodi di validità, come invece faceva la legge che ha abrogato.

L'articolo 6 della Costituzione stabilisce che "tutte le persone e gli organi che esercitano poteri pubblici sono soggetti alla Costituzione, alla legge suprema e fondamentale e allo Stato di diritto".

Ciò significa, secondo gli esperti giuridici consultati, che una delibera amministrativa non può modificare diritti o termini precedentemente stabiliti dalla legge.

Diritti acquisiti e fiducia legittima

Coloro che hanno ricevuto la carta d'identità con il regime precedente lo hanno fatto con l'aspettativa che fosse valida per dieci anni, come indicato dalla legge che il Consiglio considera abrogata e che non ha rispettato nel 2014.

Anche se si ammettesse che questa disposizione sia stata eliminata, principi come l'irretroattività delle disposizioni che limitano i diritti (articolo 110 della Costituzione) e il legittimo affidamento – riconosciuti dalla Corte Costituzionale in sentenze come TC/0168/13 e TC/0441/15 – impongono che le modifiche rispettino le ragionevoli aspettative dei cittadini.

Per gli esperti, una modifica che di fatto riduce la validità di milioni di carte d'identità potrebbe essere interpretata come una violazione dei diritti acquisiti, soprattutto se non viene fornita alcuna giustificazione di sicurezza documentale o tecnologica.

Secondo la JCE, attualmente ci sono 8.075.894 cittadini in possesso di carta d'identità nazionale.

La risoluzione 15/2022 ha garantito che la carta d'identità sarebbe stata utilizzata per l'identificazione e il voto per tutto il 2024 e che il processo di rinnovo sarebbe iniziato solo dopo le elezioni. Un'altra risoluzione, la 49-2024, lascia in vigore la carta d'identità già scaduta "fino al completamento del processo di sostituzione, in una data che sarà annunciata dalla Commissione Elettorale Centrale".

Confronto internazionale

In Colombia, il Consiglio di Stato ha respinto una decisione simile a quella adottata dalla JCE (Commissione Elettorale Nazionale), stabilendo che il riconoscimento dei documenti non giustifica l'ignoranza del periodo di validità concesso dalla legge a ciascun titolare.

In pratica, non esistono precedenti recenti in altri Paesi per un rinnovo completo dei documenti d'identità senza una causa grave e chiaramente comprovata di sicurezza nazionale o tecnologica.

Impatto di bilancio e logistico

Il costo stimato di oltre 6 miliardi di pesos rappresenta un investimento pubblico significativo.

A ciò si aggiunge la sfida di rinnovare milioni di documenti in un breve lasso di tempo, che, se non attentamente pianificato, potrebbe portare a sovraffollamento, ritardi e al rischio di lasciare i cittadini senza un documento d'identità valido. La gara per la nuova carta d'identità ha dovuto affrontare sfide legali a causa di un ricorso.


tradotto dal Diario Libre

sabato 9 agosto 2025

Salari bassi e vita cara: il paradosso dominicano


 

In Repubblica Dominicana il salario minimo, oggi, è tra i più bassi di tutta l’America.

Parliamo di circa 241-246 dollari al mese (circa 15.800 pesos), una cifra che colloca il Paese ben al di sotto della media latinoamericana. Per fare un paragone: in Costa Rica il minimo sfiora i 726 dollari, in Cile si superano i 500, in Ecuador e Guatemala si resta intorno ai 470.
E se guardiamo al Nord America, il divario diventa un abisso: negli Stati Uniti il salario minimo federale è di oltre 1.200 dollari al mese (e in molti stati si guadagna anche di più), in Canada si arriva a oltre 2.000.

Eppure, nonostante questa enorme differenza negli stipendi, il costo della vita – soprattutto nelle località turistiche come Las Terrenas, Punta Cana, Sosúa o Cabarete – è sorprendentemente simile a quello di Paesi molto più sviluppati.

Perché?
Ci sono almeno tre motivi principali:

  1. L’economia turistica “importata”
    Nelle zone turistiche, gran parte dei beni e servizi è pensata per visitatori stranieri, spesso con portafogli ben più pesanti. I prezzi di ristoranti, supermercati “internazionali” e attività ricreative vengono calibrati su standard europei o nordamericani, non sui salari locali.

  2. Importazioni costose
    Molti prodotti – alimentari, tecnologici, di consumo – sono importati e quindi soggetti a tasse, trasporto e margini elevati. Questo fa sì che un litro di latte, un pacco di pasta o uno smartphone possano costare quanto (o più) che in Italia o negli USA.

  3. Mercato immobiliare “dopato” dagli investitori stranieri
    Case in affitto o in vendita nelle zone turistiche hanno prezzi spesso fuori portata per i residenti dominicani, perché il mercato segue la domanda di chi guadagna in euro o dollari.

Il risultato è un paradosso evidente: chi guadagna il salario minimo locale deve affrontare spese quotidiane simili a quelle di chi vive in Paesi con stipendi cinque, sei o dieci volte più alti.

Questo squilibrio si traduce in una forte dipendenza dalle rimesse degli emigrati, nel ricorso al lavoro informale e nella difficoltà, per molte famiglie, di risparmiare o migliorare il proprio tenore di vita.

E mentre il turismo continua a crescere, la grande sfida per il Paese resta quella di aumentare i salari senza perdere competitività e, soprattutto, trovare un equilibrio tra sviluppo economico e benessere reale della popolazione.

Inni nazionali, il cuore e il tempo che cambia


So di andare controcorrente. Ma sento il bisogno di dirlo: gran parte degli inni nazionali – dalla Marsigliese all’Inno di Mameli e a molti altri – appartiene a un altro tempo. Sono stati scritti in epoche di guerre e rivoluzioni, quando la priorità era galvanizzare il popolo, infondere coraggio ai soldati, unire la nazione contro un nemico comune. Le parole sono solenni, piene di retorica e di riferimenti bellici; le melodie sono marce, pensate per accompagnare eserciti e parate militari.

Oggi il contesto è cambiato. Le sfide del presente sono altre: la pace, la cooperazione internazionale, la difesa dell’ambiente, la solidarietà tra i popoli. Ma i testi e le musiche ufficiali che ci rappresentano di fronte al mondo continuano a raccontare un passato glorioso, ma lontano.

Eppure, quando ascolto l’Inno di Mameli, non riesco a restare indifferente. Mi faccio forza sulle mie vecchie gambe stanche, mi alzo in piedi e mi emoziono, sempre, perché mi parla della mia patria lontana, delle mie radici, di un’appartenenza che porto dentro. Quelle note, per me, hanno il profumo delle piazze italiane, il rumore delle feste di paese, la memoria di momenti in cui sentirsi “italiani” era motivo di orgoglio e condivisione. È un legame che va oltre la musica o le parole: è memoria, è identità.

Proprio per questo, credo che porsi la domanda non sia un atto di irriverenza, ma di amore. Possiamo amare e rispettare i nostri inni come testimonianza del passato, e allo stesso tempo chiederci se siano ancora lo specchio fedele del presente. Forse un giorno potremo pensare a parole e melodie che parlino anche delle sfide e delle speranze di oggi, che sappiano unire non solo nel ricordo di ciò che siamo stati, ma anche nella visione di ciò che vogliamo diventare.

Un inno nazionale non è solo un pezzo di storia: è la nostra voce ufficiale davanti al mondo. E una voce, per essere viva, deve avere il coraggio di parlare anche al futuro.

GPT-5: il nuovo cervello digitale di OpenAI

Negli ultimi giorni il mondo dell’intelligenza artificiale ha fatto un passo avanti importante: è arrivato GPT-5, il nuovo modello di ChatGPT. Non è solo un aggiornamento cosmetico, ma un cambiamento profondo nel modo in cui questa IA ragiona e risponde.

La prima novità è che ora tutto è in un unico modello. Prima c’erano varie versioni – quella veloce per le domande semplici, quella “pensante” per i problemi complessi – e bisognava scegliere quale usare. Con GPT-5 non serve più: è lui a decidere, in automatico, quando darti una risposta rapida o quando “mettersi a riflettere” più a fondo.

Rispetto ai modelli precedenti, capisce meglio e sbaglia meno. È stato addestrato per ridurre le famose “allucinazioni” – quelle risposte inventate o imprecise che a volte capitavano. Inoltre, è più bravo a riconoscere quando non ha abbastanza informazioni per rispondere, evitando di riempire i buchi con fantasia.

Un altro punto forte è la versatilità: GPT-5 scrive codice complesso, progetta app e interfacce, aiuta nella stesura di testi creativi o professionali, risponde a domande di salute (senza sostituirsi a un medico) e può anche interpretare immagini, grafici e altri contenuti multimediali. Può persino collegarsi a servizi esterni come Gmail o Google Calendar.

Per gli utenti comuni, la buona notizia è che è disponibile anche gratis, anche se con qualche limite. Chi ha un abbonamento Plus o Pro può sfruttare pienamente tutte le capacità, compresa una versione “potenziata” pensata per compiti molto impegnativi.

Non mancano, ovviamente, le critiche: alcuni utenti si aspettavano una rivoluzione e invece parlano di un miglioramento “evolutivo” più che “rivoluzionario”. Altri segnalano limiti come il tetto settimanale di messaggi in modalità avanzata. Ma, in generale, il salto di qualità è evidente: GPT-5 è più intelligente, più trasparente e più utile nella vita di tutti i giorni.

In breve: un assistente digitale più affidabile, capace e vicino al modo di pensare umano. Un passo in avanti verso un’IA che non solo risponde, ma ragiona con noi.

venerdì 8 agosto 2025

Il messaggio del Com.It.Es. di Santo Domingo per la Giornata del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo


 L’8 agosto ricorre il 69º anniversario del disastro di Marcinelle, in Belgio, dove 262 minatori – tra cui 136 italiani – persero la vita nella miniera di Bois du Cazier. Una tragedia che rappresenta una delle pagine più dolorose della storia dell’emigrazione italiana, e che ricordiamo oggi con profonda commozione.

In questa giornata si celebra anche la 24ª Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, istituita per onorare il coraggio, la dignità e il contributo dei milioni di connazionali che, con il proprio lavoro, hanno costruito un futuro migliore per sé e per le generazioni successive.

Il Com.It.Es. di Santo Domingo si unisce idealmente a tutte le comunità italiane nel mondo nel rendere omaggio a queste vite spezzate e nel rinnovare il proprio impegno affinché il sacrificio di chi ha lavorato lontano dalla propria terra non venga mai dimenticato.

Il ricordo di Marcinelle ci richiama al dovere della memoria e alla necessità di promuovere una cultura della sicurezza e della tutela dei diritti di tutti i lavoratori, in Italia come all’estero.

In memoria. Con gratitudine. Con rispetto.

Le buone ricette italiane dello chef Alex Ziccarelli: la pasta e fagioli con le cozze

 

La pasta e fagioli con le cozze è uno dei piatti che più incarnano l’essenza della cucina partenopea, soprattutto in quello che è uno dei più riusciti connubi tra il mare e la terra. Questa classica ricetta campana esalta l’armonia dei sapori del mare che incontrano i legumi, portando con sé sia la storia che la passione dell’arte culinaria partenopea: la scelta attenta degli ingredienti è fondamentale: i fagioli, ricchi di nutrienti e di profumi della terra, si fondono con le cozze, donando al piatto un tocco di mare e una delicatezza inconfondibile. 
La sua preparazione richiede tempo e dedizione: i fagioli devono cuocere lentamente fino a raggiungere la cremosità perfetta, sposandosi poi  con le cozze, che, a loro volta,  rilasceranno il loro gusto intenso,  unitamente ai profumi del mare, pronti, insieme, ad accogliere la pasta, rigorosamente al dente, dando vita a un piatto eccezionale, quasi un’esplosione di sapori concentrata in ogni forchettata. 
Ogni famiglia ha la propria versione della ricetta, con piccole varianti che rendono il piatto unico e speciale. Oggi è considerata un’eccellenza della cucina partenopea, un simbolo della sua identità culinaria che viene apprezzata non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale e internazionale. 
Ingredienti per 4 persone: 200 gr. di pasta mista, 200 gr. di pelati, 1 kg. di cozze, 300 gr. di fagioli cannellini già lessati, 2 spicchi di aglio, 1 mazzetto di prezzemolo, pepe nero q.b., olio extravergine di oliva q.b. 
Preparazione: in una pentola capiente, fate soffriggere due spicchi di aglio in abbondante olio extravergine di oliva insieme ai gambi del prezzemolo, finché l’aglio non sarà dorato. 
Eliminate l’aglio e aggiungete i fagioli cannellini, precedentemente lessati, al soffritto. 
Unite i pomodori pelati schiacciati e lasciare cuocere a fuoco medio per circa 5 minuti, mescolando di tanto in tanto. 
In un’altra padella, fate aprire le cozze con un filo d’olio e uno spicchio di aglio. 
Una volta che le cozze si saranno aperte, rimuovetele una ad una dalla padella e mettetele da parte in un piatto. 
Sgusciate le cozze, eliminate l’aglio e conservate il liquido di cottura filtrato, lasciandone qualcuna intera per la decorazione. 
Aggiungete il liquido di cottura delle cozze alla pentola con i fagioli e i pomodori, portando il tutto a ebollizione, quindi aggiungete la pasta mista. 
Se necessario, aggiungete dell’acqua calda poco alla volta fino a completare la cottura della pasta. 
Quando la pasta sarà al dente, aggiungete le cozze sgusciate, una manciata di prezzemolo tritato e un filo di olio extravergine di oliva. 
Mescolare bene per amalgamare tutti gli ingredienti. 
Servite la pasta e fagioli con le cozze in piatti fondi, completando con una generosa spolverata di pepe nero fresco e qualche cozza intera a decorare.

 

 

 

giovedì 7 agosto 2025

“Torna a casa tua”: no, questa è casa mia


Quante volte, in Repubblica Dominicana, noi stranieri — soprattutto se osiamo esprimere un’opinione — ci siamo sentiti dire con quel tono velenoso:
“Se non ti piace, torna a casa tua.”

Una frase stupida. Ignorante. Inutile.
Una frase che non meriterebbe risposta, se non fosse così diffusa da dover essere smontata pubblicamente, una volta per tutte.

Qual è “casa mia”?
È forse il luogo dove sono nato, magari per caso, solo perché lì mia madre mi ha partorito?
O è il luogo che ho scelto? Dove ho piantato radici, dove ho investito i miei risparmi, le mie energie, il mio tempo e — soprattutto — il mio cuore?

La Repubblica Dominicana è casa mia, perché ci vivo da anni, perché pago le bollette, le tasse, i collaboratori. Perché rispetto le leggi, la gente e la cultura locale. Perché cammino per strada con amore per questo Paese, anche quando non ne condivido tutto. Perché mi preoccupo della comunità. E perché — diciamolo — spesso contribuisco molto più di chi si limita a nascere qui e poi non fa nulla per migliorare il posto in cui vive.

Ma non ho mai rinnegato, né rinnego, la mia italianità.
Al contrario: sono profondamente italiano, e proprio per questo non ho mai voluto la doppia cittadinanza. L’Italia è la mia patria, la mia lingua madre, la mia cultura. È il mio sguardo sul mondo. Ma una patria non esclude l’altra. Si può amare profondamente la propria terra d’origine e quella che si è scelta per vivere.

Molti italiani (e stranieri in generale) in questo Paese si definiscono “ospiti”.
Con tutto il rispetto: smettiamola di chiamarci ospiti.

Non siamo in albergo.
Non siamo di passaggio.
Siamo parte attiva di questa società.
Siamo genitori di figli nati qui. Siamo imprenditori, lavoratori, pensionati che hanno scelto di vivere e di contribuire.

Un ospite è temporaneo. Noi no.
Un ospite si adatta in silenzio. Noi no.
Noi osserviamo, partecipiamo, critichiamo (quando serve), miglioriamo (quando possiamo). Questo non è un privilegio: è un diritto. Come in ogni democrazia.

E se qualcuno si sente minacciato dal fatto che uno straniero abbia idee, voce, presenza, forse dovrebbe farsi una domanda:
cos’ho fatto io, oltre a nascere qui?

Susanna Tamaro scriveva: “Va’ dove ti porta il cuore.”
Ecco, il mio cuore mi ha portato qui. E qui ho messo tutto me stesso.
Chi non lo capisce, è libero di non capirlo.
Ma non ha nessun diritto di zittirmi.

La nuova legge sugli affitti è un passo avanti. Ma chi difende l’inquilino fragile?


In Repubblica Dominicana è finalmente arrivata una legge che prova a mettere ordine nel complicato mondo degli affitti. Dopo decenni in cui tutto si basava su accordi verbali, favoritismi e rapporti di forza, oggi i contratti devono essere scritti, registrati, il deposito cauzionale non può superare i due mesi, e lo sfratto è possibile solo con ordine giudiziario. Tutto bene, sulla carta.

Ma nella vita reale le cose sono ancora più complicate. Perché la legge si ferma dove comincia la fragilità umana, e il nuovo testo — per quanto moderno e più giusto — non prevede alcuna tutela per chi si trova in condizioni di salute gravi o di vulnerabilità personale.

Il caso (comune) dell’inquilino invisibile

Pensiamo a un caso che non è affatto raro. Un inquilino vive in affitto da dieci anni. Ha sempre pagato puntualmente, ha installato a sue spese climatizzatori, tende, boiler, migliorando l’abitazione più di quanto abbia mai fatto il proprietario. Si è costruito lì dentro una vita: abitudini, ricordi, sicurezza.

Poi, all’improvviso, arriva una malattia grave. Un’operazione urgente, una diagnosi pesante, una lunga convalescenza. Proprio in quel momento, il padrone di casa annuncia modifiche strutturali all’appartamento. L’inquilino, spaventato e stanco, rifiuta: non può sopportare lavori, rumore, polvere, estranei. Non ce la fa, fisicamente e psicologicamente.

La risposta del proprietario? Quella che in Repubblica Dominicana, ancora oggi, si sente troppo spesso: “Se non ti sta bene, vattene”.

La legge dice poco, e il giudice può fare poco

In teoria, l’inquilino potrebbe rivolgersi al giudice. Potrebbe opporsi allo sfratto, chiedere più tempo, presentare certificati medici. Ma la legge non riconosce il diritto a restare nell’alloggio in base a uno stato di salute. Non esiste alcuna protezione specifica per malati cronici, persone con disabilità, anziani soli o soggetti in condizioni sociali fragili.

Il contratto, se scaduto, può essere non rinnovato. E anche se è ancora in corso, il proprietario ha sempre la possibilità di farlo cessare legalmente, a meno che non si violino i termini formali. La malattia dell’inquilino, per la legge, non conta.

Il giudice può al massimo concedere una proroga, ma non può impedire il trasloco. E il trasloco, in questi casi, può essere una condanna anticipata.

Dove finisce il diritto, e dove comincia la giustizia?

La nuova legge sugli affitti è indubbiamente un passo nella direzione giusta. Ha introdotto garanzie che prima non c’erano, ha limitato gli abusi, ha riportato un po’ di ordine. Ma non basta una buona legge per avere una società giusta.

Serve anche empatia, visione sociale, e soprattutto il riconoscimento di un principio fondamentale: la casa è molto più di quattro mura. È stabilità, dignità, respiro. E chi vive in affitto, soprattutto se malato o fragile, ha bisogno di protezione.

Un contratto di dieci anni, sempre onorato, dovrebbe valere qualcosa. Un inquilino che ha migliorato l’appartamento e che non può fisicamente traslocare dovrebbe avere strumenti per difendersi. O almeno il diritto di restare fino a quando le sue condizioni non migliorano.

Una riforma a metà

In conclusione, possiamo dire che la legge dominicana sugli affitti ha fatto molto, ma non ha ancora fatto abbastanza. Ha messo regole dove prima regnava il caos, ma non ha ancora dato voce a chi rischia di restare invisibile.

Chi vive in affitto continua a essere considerato un “occupante temporaneo”, anche se lì dentro ha costruito una vita. E quando la salute viene meno, quando le forze fisiche si esauriscono, nessuna clausola lo protegge. Nessun articolo, nessun comma.

È tempo che il legislatore si ponga una nuova domanda: possiamo continuare a ignorare la fragilità, la malattia, la solitudine, nel nostro sistema abitativo?
Se la risposta è no, allora il prossimo passo deve essere chiaro: trasformare il diritto alla casa in un diritto davvero umano. Anche per chi non possiede nulla, se non il bisogno di restare.

Un Codice Penale nuovo… ma le carceri restano medievali


Dopo anni di attese, di rinvii e di progetti rimasti nei cassetti, la Repubblica Dominicana ha finalmente varato un nuovo Codice Penale. Un passo importante, atteso da decenni, che aggiorna e modernizza una normativa vecchia di oltre 140 anni. Reati come il femminicidio, il sicariato, la violenza digitale o l’intermediazione finanziaria illecita entrano finalmente nel nostro ordinamento. Eppure, mentre il diritto penale si aggiorna, le carceri dominicane restano ferme al Medioevo.

Il problema non è nuovo. Chiunque abbia messo piede in uno dei grandi penitenziari del Paese — da La Victoria a Najayo, da San Pedro a La Vega — sa bene di cosa si parla: celle sovraffollate, igiene inesistente, assistenza sanitaria praticamente nulla, detenuti stipati in gabbie come animali, corruzione endemica e una violenza interna costante.

Molti istituti penitenziari ospitano il doppio, se non il triplo, dei detenuti che potrebbero legalmente contenere. A La Victoria, costruita per ospitare 2.000 persone, si arriva spesso a oltre 8.000. I detenuti dormono per terra, uno sull’altro, senza ventilazione, senza acqua corrente, senza privacy. I più poveri non hanno nemmeno un materasso, e devono elemosinare perfino il cibo.

E che dire dei detenuti in attesa di giudizio, che costituiscono oltre il 60% della popolazione carceraria? Persone arrestate per reati minori che restano rinchiuse mesi, a volte anni, in attesa di un processo che non arriva mai. La presunzione di innocenza, in questi casi, resta solo una formula vuota.

Il paradosso è evidente. Da una parte, lo Stato riconosce la necessità di aggiornare il proprio strumento penale, rendendolo più giusto, più moderno, più aderente ai valori costituzionali. Dall’altra, continua a ignorare la condizione inumana di chi, quel codice, è chiamato a subirlo. Ma a cosa serve un diritto penale “garantista” se le garanzie si fermano ai cancelli della prigione?

La verità è che una riforma penale non può dirsi completa senza una riforma carceraria. Non basta tipizzare meglio i reati o aumentare le pene: bisogna anche assicurarsi che chi viene condannato possa scontare la sua pena in condizioni dignitose e umane, come impone la Costituzione dominicana, le convenzioni internazionali e, prima ancora, il semplice buon senso.

La reclusione dovrebbe essere riabilitazione, non vendetta sociale. Ma finché il sistema carcerario resterà quello che è oggi — disumano, corrotto, crudele — nessuna legge potrà davvero cambiare le cose.

Ben venga, dunque, il nuovo Codice Penale. Ma adesso tocca al governo, alla giustizia, alla società tutta, avere il coraggio di guardare anche dove nessuno vuole guardare: nelle carceri, che restano la ferita aperta e vergognosa di uno Stato che pretende legalità ma non garantisce umanità.

La Repubblica Dominicana ha un nuovo Codice Penale: addio a una legge del 1884


Dopo oltre 140 anni, la Repubblica Dominicana volta finalmente pagina in materia di giustizia penale. Il vecchio Codice, redatto nel lontano 1884 e basato sul modello francese ottocentesco, è stato ufficialmente sostituito da un nuovo testo legislativo, moderno e articolato, che entrerà in vigore nell’agosto 2026. La riforma, contenuta nella Legge 74‑25, è stata firmata dal Presidente Luis Abinader lo scorso 3 agosto 2025, ponendo fine a decenni di attese, rinvii e polemiche.

Non si tratta di un semplice aggiornamento. Il nuovo Codice Penale rappresenta una riforma strutturale e profonda, in linea con i cambiamenti della società dominicana e con le sfide del XXI secolo. È il frutto di lunghi dibattiti parlamentari, pressioni della società civile, esigenze internazionali e — soprattutto — dell’evidente bisogno di uscire da un quadro normativo ormai superato, incapace di affrontare i crimini moderni.

Una giustizia più al passo coi tempi

Il nuovo Codice è suddiviso in due grandi sezioni: una parte generale, che definisce i principi del diritto penale (legalità, colpevolezza, proporzionalità delle pene, responsabilità personale, umanizzazione del castigo), e una parte speciale, dove sono elencati e descritti in modo dettagliato i singoli reati.

L’approccio scelto è ispirato al garantismo costituzionale e mira a sostituire definitivamente la visione antiquata e repressiva del passato. Spariscono i “reati rurali” e le categorie giuridiche vaghe. Al loro posto, un sistema coerente, chiaro e in sintonia con la Costituzione del 2010.

Crimini nuovi, pene più severe

Una delle novità più visibili è l’introduzione di reati fino ad oggi non previsti o trattati in modo frammentario. Parliamo di femminicidio, sicariato, violenza psicologica ed economica, bullismo digitale, abusi tramite deepfake, estorsioni con immagini intime, truffe piramidali, istigazione al suicidio, intermediazione finanziaria illecita.

Sono inoltre riconosciuti, per la prima volta nella storia dominicana, crimini come il genocidio, i crimini contro l’umanità, la sparizione forzata, e viene introdotto il concetto giuridico di dolo eventuale.

La pena massima viene aumentata da 30 a 40 anni di carcere, con la possibilità di arrivare a 60 anni in caso di cumulo di reati gravi. È un cambiamento radicale, pensato per rispondere alla crescente domanda di sicurezza e di giustizia da parte della popolazione.

Le vittime finalmente al centro

Un altro punto qualificante della riforma riguarda la protezione delle vittime. Il nuovo Codice prevede l’adozione di misure restrittive contro gli aggressori, come divieti di avvicinamento, obblighi di controllo socio-giudiziario, e l’istituzione di un registro nazionale dei criminali sessuali.

Inoltre, i reati sessuali contro minori potranno essere perseguiti fino a 30 anni dopo il compimento della maggiore età della vittima, riconoscendo la complessità emotiva e psicologica di denunciare abusi in giovane età.

Anche le imprese possono essere colpevoli

Per la prima volta nella storia giuridica del Paese, il Codice prevede la responsabilità penale delle persone giuridiche. Le imprese potranno essere chiamate a rispondere di reati commessi nel loro interesse, come corruzione, frodi, traffico d’influenze o reati ambientali.

Non si tratta solo di punire, ma anche di premiare il rispetto della legge: il Codice introduce strumenti di “compliance”, ovvero programmi interni di prevenzione del crimine, che potranno alleggerire la responsabilità dell’impresa in caso di infrazione.

Le critiche: e l’aborto?

Nonostante i numerosi progressi, non mancano le critiche. La più accesa riguarda l’assenza di depenalizzazione dell’aborto, che resta vietato in ogni circostanza, anche in caso di stupro, incesto o pericolo per la vita della madre. Molte organizzazioni per i diritti umani e per la salute riproduttiva hanno denunciato questa scelta come un grave passo indietro.

Alcuni giuristi, inoltre, mettono in dubbio l’efficacia pratica della riforma. Il penalista Cándido Simón, ad esempio, ha affermato che “si tratta solo di un aumento di reati e pene, senza un vero ripensamento del sistema giudiziario”.

Un passo avanti, nonostante tutto

Critiche a parte, è indubbio che il nuovo Codice Penale rappresenti una svolta storica per la Repubblica Dominicana. Per la prima volta, il Paese si dota di uno strumento moderno, aggiornato, capace di affrontare i reati della contemporaneità con un linguaggio chiaro e una struttura coerente.

Ora resta la sfida più grande: applicarlo bene. Perché una legge, da sola, non basta a cambiare la realtà. Servono giudici preparati, forze dell’ordine competenti, avvocati coscienziosi e cittadini consapevoli. Ma almeno, dopo 141 anni, la strada è tracciata.

mercoledì 6 agosto 2025

Italiani all’estero: cittadini dimenticati

In Repubblica Dominicana siamo migliaia, e ogni anno gli italiani che scelgono di vivere qui aumentano. Non siamo turisti: lavoriamo, investiamo, educhiamo i nostri figli tra due culture. Eppure, a Roma, chi si ricorda davvero di noi?

Secondo l’AIRE, gli italiani residenti all’estero sono oggi oltre 6,3 milioni. Una “regione” più grande della Sicilia o del Veneto. Eppure, quando si parla di diritti, rappresentanza politica, servizi consolari, contiamo meno di tutti.

Fino a qualche anno fa c’era un Ministero per gli Italiani nel Mondo, con una visione chiara e personale politico dedicato. Ora tutto è stato accorpato al Ministero degli Esteri, che ha già mille compiti. Risultato: tempi eterni nei consolati, disservizi, frustrazione.

Un ritorno a un ministero autonomo non è una richiesta di lusso, ma una necessità. Solo così si può coordinare meglio il sostegno agli italiani nel mondo: pensioni, documenti, scuole, promozione culturale, relazioni economiche, sanità, assistenza.

L’Italia ha circa 58 milioni di residenti, di cui molti naturalizzati da altri Paesi (Nord Africa, Europa dell’Est, ecc.) — pienamente italiani, certo.
Ma allora perché chi è nato italiano e ha scelto di vivere altrove, resta penalizzato?

Facciamo due conti: 6,3 milioni all’estero su 64 milioni di cittadini totali = quasi il 10%. Eppure solo 12 deputati e 6 senatori sono eletti all’estero. Un’ingiustizia evidente.

Quante volte ce lo siamo sentiti dire: “Ma voi non pagate le tasse in Italia!”.
È falso. E anche ipocrita. Molti italiani all’estero hanno immobili, pensioni, redditi in Italia e pagano regolarmente. Le tasse italiane coprono servizi pubblici (scuole, ospedali, trasporti) che noi non usiamo. Ma soprattutto: la cittadinanza non è un contratto fiscale. È identità. È diritto. È dovere.

Chi vive fuori dall’Italia è italiano come chi vive dentro. Punto.

Noi esistiamo. È ora che l’Italia lo ricordi.

Chiediamo: un Ministero per gli Italiani nel Mondo, dedicato e competente, una rappresentanza parlamentare proporzionale al nostro numero reale. Servizi consolari efficienti e non da terzo mondo. Rispetto.

Viviamo all’estero, ma non abbiamo mai lasciato l’Italia.

martedì 5 agosto 2025

Scosse frequenti nell’area est/nord‑est: segnale di rischio imminente o normale attività sismica?


Negli ultimi giorni si sono susseguite diverse scosse registrate nell’area est/nord‑est della Repubblica Dominicana, incluse una scossa di magnitudo 5,2 il 5 agosto 2025, avvenuta a sud-est di Punta Cana a profondità notevoli (circa 168 km), e una di magnitudo 3,1 quasi in contemporanea

Secondo i dati storici, l’isola vive in media circa 71 scosse di magnitudo ≥4 all’anno entro un raggio di 300 km.. Tuttavia, praticamente nessuna scossa superiore a magnitudo 7 si è registrata negli ultimi 100 anni, fatta eccezione per il devastante evento del 4 agosto 1946 (magnitudo stimata tra 7,8 e 8,1), che generò uno tsunami con quasi 1.800 vittime 

Esperti come il geologo Osiris de León segnalano che la zona settentrionale della Repubblica Dominicana, in particolare legata alla faglia settentrionale di Hispaniola, presenta un rischio più elevato per terremoti maggiori. Tuttavia, l’area attualmente interessata — est/nord‑est — rientra nella normale attività sismica, soprattutto se collegata a eventi relativamente profondi.

Conclusione

  • Le scosse di magnitudo tra 3 e 5, con profondità variabili, rientrano nella normale attività sismica dell’area.

  • Non ci sono segnali imminenti di un terremoto catastrofico, sulla base delle evidenze disponibili. Dato l’assenza di magnitudo superiori a 6‑7 negli ultimi decenni (tranne il 1946), non si può considerarlo un preludio inevitabile.

  • Tuttavia, l’area settentrionale rimane la più a rischio per eventi forti, secondo esperti locali

E la terrra continua a tremare



Un nuovo terremoto è stato avvertito martedì mattina presto nella Repubblica Dominicana, registrando una magnitudo di 5.0, secondo il meteorologo Francisco Holguín.

Il terremoto si è verificato alle 5:23 del mattino e ha avuto epicentro a 37 chilometri a est-sudest di Boca de Yuma, nella provincia di La Altagracia, secondo Holguín.

L'esperto ha dichiarato, durante la sua partecipazione al programma La Opción de la Mañana (L'opzione del mattino) del gruppo Telemicro, che il fenomeno è stato fortemente avvertito dagli abitanti di San Rafael, Mata Hambre, Punta Cana e Bávaro, nella suddetta provincia, nonché dagli abitanti di La Romana, Bayahíbe e delle città vicine.

Allo stesso modo, sui social media, i cittadini segnalano che è stato avvertito in alcune zone della Grande Santo Domingo.

Il terremoto ha avuto origine a una profondità di 196 chilometri sotto la superficie.

Finora non sono stati segnalati danni materiali o vittime.


L’arte di Arian García rende omaggio alle “Madri della Speranza” alla Quinta Dominica


Arian García è un rinomato pittore, scultore e designer di origine cubana. Si è formato all’Accademia di San Alejandro e all’Istituto Superiore di Design Industriale de L’Avana. Ha conseguito un master in Gestione e Innovazione del Design e ha ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il Premio Nazionale di Design a Cuba.

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Nel suo paese natale ha partecipato a numerose esposizioni, come "Ragione dell’equilibrio per i cinque secoli dell’incontro tra le due culture" (1995), "Immagine incompiuta per un album di ricordi" (2000), la sua mostra personale presso l’Hotel Oasis Panorama (2006) e "358… come aspettando aprile" (2011).

Nella Repubblica Dominicana ha esposto in diverse occasioni, tra cui si ricordano le personali "Tre colori e una bandiera in tempi d’ombra" (Codap, 2022), "Storie per insegnarti" (Quinta Dominica e Funanart, 2023), "Certezze e premonizioni" (Casa de Cultura Eduardo Brito e Museo Fortaleza San Felipe, 2023). Ha inoltre partecipato a mostre collettive come "L’ultima cena" (Repubblica Dominicana, 2022) e alla celebrazione della cultura caraibica organizzata dall’Università di Rhode Island a Providence, USA, nel 2023.

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Le opere di Arian García si caratterizzano per la varietà dei temi trattati: la bandiera cubana, le case vetuste, la quotidianità, le angosce esistenziali, i pesci, e per l’uso di materiali innovativi come legni riciclati, carta di scarto, PVC e cartone per le sue sculture. Dipinge su supporti diversi come scatole di pizza, legno, carta e tela.

Arian si esprime attraverso simboli come la crisalide, la stella, le figure umane, i colori della Patria, in un’arte catartica e toccante, di grande valore etico ed estetico, che non lascia nessuno indifferente. Il suo stile postmoderno richiama l’espressionismo, l’onirismo surrealista, la pop art e l’arte concettuale, fondendosi in un linguaggio unico e potente.

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Domani, 5 agosto, alle ore 19:00, presenterà per la seconda volta le sue opere alla Quinta Dominica di Santo Domingo con “Madri della speranza”, un omaggio profondo alla donna, rappresentando le madri di tutti gli esseri umani, la Vergine Madre di Dio, “nostra avvocata”, le donne migranti e tutte coloro che, in ogni angolo del mondo, lottano ogni giorno per far crescere il meglio dentro ciascuno di noi.

Le figure allungate rappresentate dall’artista si ispirano all’arte gotica e ai mosaici bizantini. I colori predominanti – l’oro del sacro, il bianco della purezza e l’azzurro del cielo e della verginità – trasmettono un profondo senso di pace e ci fanno rivivere la protezione del grembo materno. Angeli simbolici, bandiere e colombe comunicano allo spettatore un messaggio d’amore.

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“Madri della speranza” vi aspetta alla Quinta Dominica della Zona Coloniale per essere partecipi di tutto ciò che di bello e vero l’arte può seminare nell’anima degli esseri umani attraverso il bene e l’amore per l’Umanità.

L'esposizione rimarrà aperta fino al prossimo 25 di agosto.

 

lunedì 4 agosto 2025

I padri dimenticati della cittadinanza italiana all’estero: la verità che molti ignorano

 

Ritratto di Mirko Tremaglia, primo e unico Ministro per gli Italiani nel Mondo, promotore della legge sulla cittadinanza agli italiani all’estero.

Chi ha voluto davvero la legge che riconosce la cittadinanza agli italiani all’estero?

Una domanda che oggi più che mai merita una risposta chiara. Non solo per informare chi non lo sa, ma soprattutto per ricordarlo a chi, pur sapendolo, fa finta di averlo dimenticato.

Un po’ di memoria storica

Nel corso degli ultimi anni, soprattutto con l’aumento delle richieste di cittadinanza iure sanguinis, si è tornati a parlare della legge che consente agli italiani nel mondo – o meglio, ai loro discendenti – di ottenere la cittadinanza italiana.

Ma pochi ricordano chi fu il vero promotore di questa battaglia storica: Mirko Tremaglia.

Ministro per gli Italiani nel Mondo, esponente del Movimento Sociale Italiano e poi fondatore di Alleanza Nazionale, Tremaglia fu l’autore e principale sostenitore della Legge 459 del 27 dicembre 2001, conosciuta appunto come Legge Tremaglia, che riconosceva il diritto di voto agli italiani residenti all’estero e apriva la strada a una cittadinanza piena, dignitosa e partecipativa.

(Lui voleva un’Italia forte anche all’estero. E ci aveva visto lungo.)

Ma Tremaglia fece ancora di più: fu il primo – e ad oggi l’unico – vero Ministro per gli Italiani nel Mondo, con un dicastero specifico, autonomo e dotato di risorse.
Un ministero nato per dare voce a milioni di italiani all’estero e ai loro discendenti.
Un segno concreto che lo Stato italiano riconosceva finalmente quella parte di sé sparsa per il mondo.

Un ministero che però durò poco: venne soppresso dal governo Prodi nel 2006, nel silenzio generale.
Un atto che molti ignorano, ma che segnò la fine di una fase storica in cui l’Italia aveva davvero scelto di occuparsi dei suoi cittadini all’estero in modo strutturale e non solo simbolico.

Tremaglia non agì per tornaconto elettorale, ma per visione politica e culturale: quella di un’Italia capace di restare legata ai suoi figli, anche a migliaia di chilometri di distanza, e di valorizzare una rete mondiale di identità, memoria e appartenenza.

Oggi: tra proclami e ipocrisie

Ed è proprio per questo che oggi fa riflettere (e indignare) vedere alcuni esponenti dell’attuale opposizione parlamentare ergersi a difensori di una legge che per anni hanno criticato, ostacolato o cercato di eliminare.

Lì dove prima si parlava di “abusi”, “discendenti troppo lontani”, “diritti da restringere”, oggi – solo perché sono all’opposizione – quegli stessi politici si scoprono paladini della cittadinanza all’estero.

Una trasformazione improvvisa che sa più di calcolo che di convinzione.

La verità che non si può ignorare

La verità è semplice, e chi conosce la storia la ricorda bene:
l’unico vero paladino della cittadinanza italiana agli italiani nel mondo si chiamava Mirko Tremaglia.
E non sedeva certo tra quelli che oggi fanno proclami sui social o dichiarazioni roboanti in Parlamento.

La sua legge nacque da un principio: la cittadinanza non è solo un pezzo di carta, ma un legame profondo con la nazione, una questione di identità e memoria.
Per questo volle che anche chi non era nato in Italia, ma ne conservava il sangue, il cognome, la cultura e l’amore, potesse sentirsi italiano a pieno titolo.

Non dimentichiamo

In un tempo in cui tutto sembra ridursi a slogan, vale la pena ricordare chi ha davvero costruito ponti tra l’Italia e il mondo.
E vale la pena denunciare l’ipocrisia di chi oggi difende ciò che ieri ha cercato di distruggere.

La cittadinanza italiana all’estero non è un privilegio. È un diritto costruito con passione, coerenza e amore per il Paese.
Chi oggi ne parla solo per convenienza politica non fa onore a quella battaglia, né a chi l’ha combattuta.

Autore: 

(Con riconoscenza e rispetto verso il lavoro di Mirko Tremaglia e tutti coloro che hanno creduto negli italiani nel mondo.)

Basta con le inaugurazioni a orologeria!

C’è una pratica che resiste ostinatamente nel tempo, come una reliquia del passato che nessuno ha il coraggio di mettere in discussione: l’inaugurazione ufficiale delle opere pubbliche con taglio del nastro, discorsi, sorrisi di circostanza e immancabile foto accanto alla targa.

Quante volte abbiamo visto strade, ponti, scuole, ospedali o perfino semplici marciapiedi già completati e perfettamente funzionanti, restare chiusi per giorni, settimane, a volte mesi, solo perché si “aspetta il presidente”, “il ministro è impegnato”, “l’agenda non combacia”? E nel frattempo la gente attende, i benefici vengono rimandati, e tutto resta in stand-by per una questione puramente di immagine.

Ma a chi serve, davvero, questa messa in scena?

Aprire un’opera pubblica quando è pronta dovrebbe essere un atto automatico, quasi banale. Se una strada è finita, che si apra al traffico. Se una scuola è completata, che gli alunni vi entrino. Non servono trombe e tappeti rossi per un diritto che appartiene ai cittadini e non ai politici di turno.

Dietro queste inaugurazioni ritardate c’è un’idea antica: che l’opera pubblica sia un favore concesso dall’alto, un regalo da esibire con il nome del ministro inciso sulla pietra. Ma non è così. Le opere sono pagate con le tasse dei contribuenti. Sono doveri dello Stato, non regali da festeggiare con i flash dei fotografi.

Naturalmente, un’inaugurazione ha un valore simbolico, serve a comunicare il completamento di un progetto. Ma quando il simbolo prende il posto della sostanza, si crea un danno: si perde tempo, si alimenta il culto della personalità, e si distoglie l’attenzione dal vero protagonista, che è il servizio pubblico, non chi lo inaugura.

In un Paese moderno, efficiente e rispettoso dei cittadini, le opere si aprono quando sono pronte. Senza fronzoli, senza attese, senza passerelle. Basta con le inaugurazioni a orologeria.

Santa Domenica Talao, la culla dell'immigrazione italiana nella Repubblica Dominicana


                        Nella foto: Membri della numerosa colonia calabrese da Santa Domenica Talao (cs)

Foto scattata nella città di Santiago de los Caballeros, Rep. Dominicana.
Anno 1916


I Nardi, come i Russo, i Grisolia, i Pappaterra, i Di Franco, Di Puglia, San Giovanni, D’Allessandro, Riccetti, Senise, Longo, Schiffino, Conte, Oliva, Di Carlo, Sarubbi, Di Vanna e tanti altri, arrivarono nella Repubblica Dominicana oltre cent’anni fa da Santa Domenica Talao, borgo dell’alto Tirreno cosentino. In maggioranza piccoli si trattava di possidenti e professionisti. Si stabilirono a Santiago, La Vega, Puerto Plata e Gaspar Hernandez.
Tutto ebbe inizio 150 anni fa. La Spagna abbandonava volontariamente Hispaniola. I Savoia conquistavano il regno di Napoli. Un certo “sergente”, originario di Santa Domenica Talao, in servizio nella cittá di Puerto Plata con l’esercito borbone, tornato in patria, ebbe modo di constatare la grande crisi provocata dalle nuove leggi savoiarde. Raccontò di un nuovo e libero paese nel nuovo mondo. Fu il primo a tornare.
In quel tempo Puerto Plata era la capitale della nascente Repubblica Dominicana. Poco a poco: “u sargentu” fu seguito da molti paesani i quali prosperarono molto. La casa Di Vanna & Grisolia, per esempio, quasi monopolizzò il commercio d’esportazione di tutto il Cibao. Molti si unirono e fondarono un’associazione benefica, denominata “Pro Santa Domenica Talao”, unicamente per inviare risorse monetarie  in patria. Tali somme furono usate dalle autorità facendone palese la provenienza.
Attualmente nella Repubblica Dominicana sono migliaia i discendenti di quei lontani pionieri, molti arrivati alla sesta generazione. Tanti altri, nati negli anni trenta e quaranta, parlano tuttora il dialetto del paese, imparato nelle case materne, giacché nessuno di quei vecchi emigranti conosceva la moderna lingua italiana e comunicavano in spagnolo con altri connazionali non meridionali. I dialetti italici, infatti, sono molto diversi e spesso incomprensibili tra loro. Per questo è bravo chi è in grado di capire anche solo alcuni dei tanti proverbi italici in lingua locale.  Piemontese: “L’aso ‘d Cavor as lauda da sol”. Friulano: “Il clip di mai svee il caj”. Sardo: “Trunch’ e figu, hast’e figu”. Pugliese: “vi dim nu pikk’ a cci si ttu e a cci só jji”. Siciliano: “ca cu voli a butti ghina e a muggheri ‘briaca”.
Detto questo, é facile intuire che, se tutti gli emigranti italiani d’Argentina, avessero parlato una sola lingua, oggi sarebbe quella ufficiale in quella nazione.