C’è una frase che si sente dire spesso in Repubblica Dominicana: “Vado in capitale.” La si dice con naturalezza, quasi fosse un’abitudine innocua. Ma non lo è. Perché in molti casi vuol dire percorrere 600 chilometri o più, passare otto o nove ore su un autobus, affrontare traffico, code, caldo e attese estenuanti. Tutto questo, per una pratica amministrativa, un documento o — peggio ancora — un esame medico un po’ più complicato del normale.
Perché sì, succede anche questo: se hai bisogno di una visita specialistica o di un esame diagnostico più avanzato devi andare a Santo Domingo.
Anche se vivi in una località turistica che genera milioni di pesos in tasse edilizie. Anche se la tua provincia conta decine di migliaia di abitanti. Anche se ci sarebbero le strutture, ma mancano i fondi, le attrezzature, il personale… tutto bloccato “in capitale”.
E le amministrazioni locali? Se vogliono costruire una scuola, asfaltare una strada, riparare una tubatura, devono bussare ai ministeri del Turismo, delle Opere Pubbliche, del Medio Ambiente e aspettare. Non c’è autonomia, non c’è vera decentralizzazione. C’è solo un lungo pellegrinaggio verso la capitale.
Stesso discorso per i permessi di residenza per stranieri: anche se ormai gli stranieri risiedono in massa nelle province costiere, devono comunque andare tutti in fila nel solito salone della capitale. Un sistema congestionato, inefficiente, faticoso — soprattutto per chi non è più giovane.
Il paradosso? È che tutto questo è diventato “normale”. Come se fosse ovvio sacrificare un’intera giornata — e una buona fetta di energie — per qualcosa che in un Paese organizzato si risolverebbe a livello locale o almeno provinciale.
Ma normale non è.
Il “vado in capitale” non è una frase qualsiasi. È il sintomo di un Paese che non si fida delle sue province, che continua a considerarle periferia. Ma le province sono il motore economico, culturale e umano della Repubblica Dominicana. Trattarle come terminali passivi del potere centrale non solo è ingiusto: è inefficiente, anacronistico e dannoso.
Precisiamo, per chiarezza e rispetto: queste non sono critiche ostili, ma osservazioni di un attempato giornalista straniero che da anni vive in questo Paese, che rispetta profondamente i suoi costumi e le sue abitudini, ma che — per fortuna — gode della libertà, garantita dalla democrazia dominicana, che consente a chiunque, anche a chi viene da fuori, di osservare la realtà con occhio critico e costruttivo.
Decentrare non è un favore. È un diritto.
E parlarne apertamente, è un atto d’amore verso un Paese che può ancora migliorare.
Nessun commento:
Posta un commento