Dopo anni di attese, di rinvii e di progetti rimasti nei cassetti, la Repubblica Dominicana ha finalmente varato un nuovo Codice Penale. Un passo importante, atteso da decenni, che aggiorna e modernizza una normativa vecchia di oltre 140 anni. Reati come il femminicidio, il sicariato, la violenza digitale o l’intermediazione finanziaria illecita entrano finalmente nel nostro ordinamento. Eppure, mentre il diritto penale si aggiorna, le carceri dominicane restano ferme al Medioevo.
Il problema non è nuovo. Chiunque abbia messo piede in uno dei grandi penitenziari del Paese — da La Victoria a Najayo, da San Pedro a La Vega — sa bene di cosa si parla: celle sovraffollate, igiene inesistente, assistenza sanitaria praticamente nulla, detenuti stipati in gabbie come animali, corruzione endemica e una violenza interna costante.
Molti istituti penitenziari ospitano il doppio, se non il triplo, dei detenuti che potrebbero legalmente contenere. A La Victoria, costruita per ospitare 2.000 persone, si arriva spesso a oltre 8.000. I detenuti dormono per terra, uno sull’altro, senza ventilazione, senza acqua corrente, senza privacy. I più poveri non hanno nemmeno un materasso, e devono elemosinare perfino il cibo.
E che dire dei detenuti in attesa di giudizio, che costituiscono oltre il 60% della popolazione carceraria? Persone arrestate per reati minori che restano rinchiuse mesi, a volte anni, in attesa di un processo che non arriva mai. La presunzione di innocenza, in questi casi, resta solo una formula vuota.
Il paradosso è evidente. Da una parte, lo Stato riconosce la necessità di aggiornare il proprio strumento penale, rendendolo più giusto, più moderno, più aderente ai valori costituzionali. Dall’altra, continua a ignorare la condizione inumana di chi, quel codice, è chiamato a subirlo. Ma a cosa serve un diritto penale “garantista” se le garanzie si fermano ai cancelli della prigione?
La verità è che una riforma penale non può dirsi completa senza una riforma carceraria. Non basta tipizzare meglio i reati o aumentare le pene: bisogna anche assicurarsi che chi viene condannato possa scontare la sua pena in condizioni dignitose e umane, come impone la Costituzione dominicana, le convenzioni internazionali e, prima ancora, il semplice buon senso.
La reclusione dovrebbe essere riabilitazione, non vendetta sociale. Ma finché il sistema carcerario resterà quello che è oggi — disumano, corrotto, crudele — nessuna legge potrà davvero cambiare le cose.
Ben venga, dunque, il nuovo Codice Penale. Ma adesso tocca al governo, alla giustizia, alla società tutta, avere il coraggio di guardare anche dove nessuno vuole guardare: nelle carceri, che restano la ferita aperta e vergognosa di uno Stato che pretende legalità ma non garantisce umanità.
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