sabato 9 agosto 2025

Inni nazionali, il cuore e il tempo che cambia


So di andare controcorrente. Ma sento il bisogno di dirlo: gran parte degli inni nazionali – dalla Marsigliese all’Inno di Mameli e a molti altri – appartiene a un altro tempo. Sono stati scritti in epoche di guerre e rivoluzioni, quando la priorità era galvanizzare il popolo, infondere coraggio ai soldati, unire la nazione contro un nemico comune. Le parole sono solenni, piene di retorica e di riferimenti bellici; le melodie sono marce, pensate per accompagnare eserciti e parate militari.

Oggi il contesto è cambiato. Le sfide del presente sono altre: la pace, la cooperazione internazionale, la difesa dell’ambiente, la solidarietà tra i popoli. Ma i testi e le musiche ufficiali che ci rappresentano di fronte al mondo continuano a raccontare un passato glorioso, ma lontano.

Eppure, quando ascolto l’Inno di Mameli, non riesco a restare indifferente. Mi faccio forza sulle mie vecchie gambe stanche, mi alzo in piedi e mi emoziono, sempre, perché mi parla della mia patria lontana, delle mie radici, di un’appartenenza che porto dentro. Quelle note, per me, hanno il profumo delle piazze italiane, il rumore delle feste di paese, la memoria di momenti in cui sentirsi “italiani” era motivo di orgoglio e condivisione. È un legame che va oltre la musica o le parole: è memoria, è identità.

Proprio per questo, credo che porsi la domanda non sia un atto di irriverenza, ma di amore. Possiamo amare e rispettare i nostri inni come testimonianza del passato, e allo stesso tempo chiederci se siano ancora lo specchio fedele del presente. Forse un giorno potremo pensare a parole e melodie che parlino anche delle sfide e delle speranze di oggi, che sappiano unire non solo nel ricordo di ciò che siamo stati, ma anche nella visione di ciò che vogliamo diventare.

Un inno nazionale non è solo un pezzo di storia: è la nostra voce ufficiale davanti al mondo. E una voce, per essere viva, deve avere il coraggio di parlare anche al futuro.

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