mercoledì 3 dicembre 2025

Chi ha paura della verità? Il caso Dj Rafy e il dovere di Las Terrenas di non tacere

 


L’aggressione brutale contro DJ Rafy, uno dei volti più popolari e controversi della comunicazione locale, ha scosso profondamente la comunità di Las Terrenas. Non si tratta solo di un fatto di cronaca nera: è un campanello d’allarme per la libertà di espressione, per la sicurezza dei cittadini e per la trasparenza che ogni società civile dovrebbe garantire.

DJ Rafy — conosciuto per i suoi video su Facebook e YouTube, dove commentava senza filtri problemi, disfunzioni e ingiustizie del territorio — è stato trovato pochi giorni fa in strada, in condizioni disperate. La diagnosi è terribile: fratture craniche multiple, emorragie interne, politraumi.
Oggi è ricoverato in una clinica di La Vega, intubato e in stato critico, mentre i medici lottano per salvargli la vita.

Indagini confuse, domande senza risposta

Le informazioni disponibili sono poche e frammentarie. Le autorità non hanno fornito una versione ufficiale convincente, mentre le ipotesi si moltiplicano sui social.
È stato un tentativo di rapina finito nel peggiore dei modi?
Un regolamento di conti?
O qualcuno ha voluto far tacere una voce scomoda?

Al momento, le indagini sembrano procedere senza una direzione chiara. Ed è proprio questa incertezza che ha alimentato rabbia, paura e sfiducia tra i cittadini.

La comunità vuole la verità

Las Terrenas non è nuova a episodi di tensione o conflitti sotterranei, ma raramente un fatto di sangue ha colpito così da vicino la sensibilità della gente.
DJ Rafy, con tutti i suoi limiti, era diventato una sorta di “microfono della strada”: raccontava ciò che vedeva, denunciava storture, dava voce a chi spesso non ce l’ha. Per molti era un personaggio scomodo; per altri, una figura eccentrica. Ma per tutti era parte della vita sociale del paese.

Oggi, di fronte alla sua tragedia, la popolazione si stringe intorno a un’unica richiesta: che la verità venga a galla.

Questo non è solo l’agguato a un comunicatore.
È un messaggio — e potrebbe essere un messaggio pericoloso — su ciò che può accadere a chi critica, espone, o semplicemente racconta la realtà senza paura.

In un territorio dove convivono interessi turistici, lotte per il potere locale, microcriminalità e forti tensioni sociali, il silenzio diventa complicità.
Las Terrenas non può permettersi di normalizzare un’aggressione così feroce contro un cittadino conosciuto e seguito da migliaia di persone.

Cosa ci aspettiamo dalle autorità

  • Indagini rapide, serie e trasparenti, senza zone d’ombra.

  • Una comunicazione chiara per evitare voci infondate o manipolate.

  • La garanzia che episodi simili non vengano liquidati come “incidenti qualunque”.

  • L’impegno a proteggere chi fa comunicazione, chi denuncia e chi parla apertamente dei problemi locali.

Las Terrenas è una comunità viva, libera, multiculturale, fatta di dominicani, italiani, francesi, americani, haitiani...
La sicurezza e la libertà d’espressione non sono un lusso: sono la base di una società sana.

Mentre Dj Rafy lotta tra la vita e la morte, il paese trattiene il fiato.
La speranza è che possa riaprire gli occhi e raccontare lui stesso cosa è accaduto.

Fino ad allora, una cosa è certa: non possiamo lasciare che l’aggressione a un comunicatore diventi l’ennesima storia destinata a svanire nel silenzio.


RD: cresce l’interesse per i prodotti “diabetici” e salutari

 


La Repubblica Dominicana sta vivendo un aumento costante dei casi di diabete, prediabete e obesità. Secondo il Ministero della Salute, più del 30% degli adulti presenta rischi metabolici significativi.
Per questo motivo sta emergendo un nuovo trend: cresce la domanda di prodotti “sin azúcar”, a basso indice glicemico, integrali o adatti a persone con diabete.

Nei supermercati e nelle colmados stanno comparendo:

  • biscotti senza zucchero,

  • yogurt “light”,

  • pane integrale o con fibre,

  • cereali a basso contenuto di carboidrati,

  • bevande per diabetici,

  • snack proteici o “keto”.

Le grandi catene — Nacional, Bravo, Jumbo — hanno dedicato interi scaffali ai prodotti salutari, e molte panetterie artigianali offrono già dolci “sin azúcar”, spesso richiesti anche da chi non è diabetico ma vuole una dieta più leggera.

Questo fenomeno apre nuove opportunità di mercato, soprattutto nelle zone turistiche come Samaná e la costa nord, dove vivono molti stranieri europei e nordamericani abituati a prodotti salutari.

Per gli italiani residenti nella RD, questo trend rappresenta un passo avanti importante: trovare prodotti per chi ha esigenze alimentari particolari è sempre stato difficile, ma oggi il mercato sta cambiando rapidamente.

Alcuni piccoli imprenditori stanno persino valutando di aprire negozi specializzati o shop online dedicati ai prodotti per diabetici — un settore in crescita e con poca concorrenza.

Il ritorno delle “guaguas” colorate: nostalgia e identità urbana

 


 
C’era un tempo in cui le “guaguas” — i minibus che attraversano la capitale e le città dominicane — erano veri e propri simboli della cultura urbana: colori vivaci, luci, adesivi, musica alta, scritte religiose e motivi personalizzati dai proprietari.

Negli ultimi anni, con la modernizzazione del trasporto pubblico, questo stile sembrava scomparso. Ma oggi, a sorpresa, sta tornando.
A Santo Domingo e Santiago si vedono sempre più guaguas decorate in stile anni ’90, spesso curate nei minimi dettagli: carrozzeria dipinta a mano, luci LED, altoparlanti potenti e disegni che richiamano la cultura dominicana, dalla bachata ai messaggi cristiani.

Per i giovani è diventato un fenomeno “vintage” da fotografare e condividere.
Per chi ha più anni, invece, è un tuffo nel passato, quando queste guaguas erano l’unico modo rapido — e spesso avventuroso — per muoversi da un barrio all’altro.

Gli esperti di cultura urbana spiegano che si tratta di un modo per recuperare l’identità popolare del paese, in un momento in cui il trasporto si sta trasformando con metropolitane, monorotaie e sistemi più moderni.
Il ritorno delle guaguas decorate rappresenta così un equilibrio tra tradizione e modernità, tra nostalgia e creatività.

Per i residenti stranieri, italiani compresi, queste guaguas sono un piccolo ritratto dell’anima dominicana: colorata, spontanea, caotica e profondamente umana.



L’ultima mania social della RD: i “perritos calientes” XXL

 


Dimenticate i normali hot dog: nella Repubblica Dominicana spopolano i “perritos calientes XXL”, hot dog giganteschi che possono superare i 40 centimetri e che arrivano carichi di salse, cheddar fuso, patatine, pancetta, cipolle caramellate e ogni genere di topping immaginabile.

La moda è nata nei quartieri popolari di Santo Domingo e Santiago, dove alcuni venditori ambulanti hanno iniziato a sperimentare versioni “extralarge” per attirare clienti. Da lì, i video sui social sono esplosi: centinaia di migliaia di visualizzazioni su TikTok e Instagram, con sfide del tipo “riuscirai a finirlo da solo?”.

Nei posti più famosi si formano code di mezz’ora, soprattutto di sera. Per i dominicani è diventata un’esperienza gastronomica “da condividere”, più che da mangiare: molti li comprano in gruppo e scattano foto, creando un fenomeno virale.

Gli esperti di salute, però, mettono in guardia: un solo “XXL” può contenere più del doppio del fabbisogno giornaliero di grassi e sodio. Nonostante ciò, la mania continua a crescere e si è già estesa alle zone turistiche come Punta Cana, Las Terrenas e Puerto Plata.

Per gli italiani che vivono qui, questi hot dog giganti sono un curioso esempio della creatività street-food dominicana, sempre capace di reinventarsi — spesso esagerando.

RD prepara nuove misure per i “delivery” dopo l’aumento degli incidenti

 


Negli ultimi anni i motociclisti “delivery” sono diventati una presenza costante nelle strade dominicane. Consegnano cibo, medicine, documenti, pacchi e qualsiasi tipo di servizio rapido. Ma a questa crescita esponenziale corrisponde anche un aumento degli incidenti: secondo i dati preliminari dell’Intrant, nel 2024 i sinistri che coinvolgono motociclisti addetti alle consegne sono aumentati del 30% rispetto all’anno precedente.

Molti incidenti avvengono di notte, quando la velocità e la scarsa illuminazione si combinano con la pressione delle app per consegne rapide, che pagano di più se si accorcia il tempo di arrivo.

Per questo il governo dominicano sta preparando un nuovo pacchetto di misure, che verrà presentato nelle prossime settimane. Tra le proposte più avanzate ci sono:

  • Casco obbligatorio con numero identificativo visibile, per poter segnalare facilmente comportamenti pericolosi.

  • Assicurazione obbligatoria pagata dagli operatori di delivery e non dal motociclista.

  • Registro nazionale dei “delivery riders”, simile al sistema dei taxi.

  • Zone di attesa e parcheggio dedicate nei centri urbani.

  • Sanzioni per le aziende che spingono i motociclisti a tempi di consegna irrealistici.

Le associazioni dei motociclisti temono costi aggiuntivi, ma molti cittadini accolgono positivamente l’idea, stanchi di manovre azzardate, contromano e sorpassi rischiosi.
Per gli italiani che vivono nelle grandi città — Santo Domingo, Santiago, Punta Cana — il problema è diventato parte della vita quotidiana: traffico intenso, moto che spuntano improvvisamente e l’aumento dei sinistri che coinvolgono pedoni e automobilisti.

Le misure potrebbero entrare in vigore già nel 2026, con un periodo di transizione per regolarizzare il settore.

martedì 2 dicembre 2025

La “pinsa” conquista la Repubblica Dominicana: cos’è davvero e perché piace così tanto


Negli ultimi mesi, in varie località della Repubblica Dominicana — da Santo Domingo a Las Terrenas — si sente parlare sempre più spesso di un nome nuovo sulla scena gastronomica: la pinsa.

Un prodotto italiano che molti confondono con la pizza… ma che pizza non è.

Cos’è la pinsa? Una ricetta antica, rinata in chiave moderna

La pinsa (dal latino pinsere, “schiacciare, allungare”) è una preparazione che si ispira a una tradizione molto antica del centro Italia, trasformata negli ultimi anni in una variante più leggera e digeribile della classica pizza.

È caratterizzata da tre elementi fondamentali:

1. Un impasto speciale

La pinsa non usa solo farina di grano, ma una miscela di:

  • frumento

  • riso

  • soia

Questa combinazione rende l’impasto più leggero, croccante fuori e morbido dentro.

2. Un’idratazione molto alta

Rispetto alla pizza, l’impasto della pinsa contiene molta più acqua (fino all’80%).
Il risultato?
Un prodotto più digeribile, meno pesante e con una consistenza più ariosa.

3. Una lunga lievitazione

La pinsa lievita da 48 a 72 ore, permettendo al glutine di svilupparsi lentamente e rendendo tutto più soffice e delicato per lo stomaco.

Croccante fuori, soffice dentro

La sua forma è ovale, irregolare, “artigianale”.
La base risulta:

  • croccante al primo morso,

  • morbida all’interno,

  • e leggera, anche quando si aggiungono ingredienti ricchi.

Insomma: una pizza più “leggera” ma ugualmente golosa.

Perché sta avendo successo nella Repubblica Dominicana?

Perché è più leggera

Con il caldo caraibico e i pasti abbondanti, molti consumatori cercano soluzioni gustose ma non troppo pesanti.
La pinsa è perfetta per questo.

Perché è diversa

Offre una novità rispetto alla pizza tradizionale, mantenendo sapori familiari.

Perché si presta alle “fusion”

Molti ristoranti dominicani e turistici la propongono con:

  • pollo a la plancha,

  • salmón ahumado,

  • aguacate,

  • ingredientes caribeños,

  • o le classiche combinazioni italiane.

Perché è “instagrammabile”

La forma irregolare e la base croccante la rendono molto fotogenica, perfetta per i social.

Un ponte tra Italia e Caraibi

La pinsa rappresenta una di quelle tradizioni italiane che riescono a reinventarsi e integrarsi perfettamente nella cultura gastronomica internazionale.
E il pubblico dominicano sembra apprezzarla: leggera, gustosa, moderna, e con un tocco artigianale che piace sempre più.

lunedì 1 dicembre 2025

Il Festival che faceva grande Las Terrenas… e che non si è voluto salvare



A Las Terrenas, anni fa, esisteva un evento che dava identità, prestigio e “marca destino” al nostro territorio: il Festival Nazionale dei Cantautori e dei Compositori.

Un evento unico nella Repubblica Dominicana, dedicato non ai cantanti famosi, ma a chi la musica la crea davvero: gli autori, i compositori, i musicisti che con talento e passione mettono in piedi i successi che poi altri portano sul palco.

Non era la solita festa con la musica “fatta al computer”.
Era un omaggio alla musica vera: strumenti, arrangiamenti, parole, idee.



Un miracolo fatto da pochi

Il festival era nato grazie all’impegno di un piccolo gruppo di appassionati italiani, persone che credevano nelle potenzialità culturali di Las Terrenas.
A sostenere l’iniziativa erano arrivati anche alcuni sponsor privati, convinti che un evento culturale serio potesse far crescere la comunità.

Il Festival si organizzava con poche decine di migliaia di pesos (un hotel metteva gratis a disposizione le camere per i cantautori, il Ministero del Turismo forniva il bus con autista per far arrivare gli artisti dalla capitale e riportarli alla fine dell'evento, un ristorante amico faceva prezzi di estremo favore per i pasti, gratis il locale dove si svolgeva...)

Eppure, nonostante tutto, l’evento era riuscito a imporsi nel calendario nazionale come qualcosa di diverso e prezioso.

La stanchezza degli organizzatori… e il silenzio delle autorità

Come spesso accade alle iniziative nate dal basso, a un certo punto la stanchezza ha prevalso.
Organizzare un festival nazionale richiede energie, tempo, coordinamento, volontà...
E quando gli organizzatori non hanno più potuto portarlo avanti, ci si aspettava un gesto minimo, un segnale, una mano tesa da parte delle autorità locali per non farlo morire.

Invece il festival è rimasto lì, a prendere polvere nei ricordi di chi ci aveva creduto.

Un’occasione persa… Si può ancora recuperare?

Forse è il momento di riaprire il discorso, di chiedersi davvero che tipo di eventi vogliamo per Las Terrenas.
Solo feste rumorose?
O anche cultura, identità, musica vera?

Il Festival dei Cantautori potrebbe essere recuperato, reinventato, attualizzato.
Ma serve una volontà: quella che, finora, è mancata.



Chi concede la “no objeción” dovrebbe anche subirne le conseguenze


In Repubblica Dominicana esiste una prassi ormai consolidata: per organizzare feste, concerti, attività con musica ad alto volume—anche private—basta richiedere al Comune la famosa “no objeción”. Un documento che, in teoria, dovrebbe garantire che l’evento non generi problemi alla comunità.

In teoria, appunto.

Perché nella pratica molti Ayuntamientos concedono la no objeción anche quando l’evento si svolge in zone dove la legge proibirebbe tali attività: ad esempio vicino a ospedali, centri sanitari o quartieri ad alta densità residenziale.
E non si tratta solo di autorizzazioni a privati: ad esempio, a Las Terrenas è lo stesso Comune a organizzare concerti e feste nel prato accanto al Multiuso—un’area densamente abitata e situata a pochi passi dalla Clínica Internacional, dove il riposo dei pazienti dovrebbe essere sacro.

Il paradosso delle autorizzazioni facili

Il problema non è solo la musica alta: è la leggerezza con cui si concede un permesso che incide direttamente sulla qualità della vita dei residenti.
Spesso chi firma la no objeción non vive minimamente vicino al luogo dell’evento. Non sente il rumore, non subisce vibrazioni, non passa la notte in bianco.
Per questo la decisione appare scollegata dalla realtà quotidiana del quartiere.

Il principio: chi vive lì deve avere voce

Una soluzione semplice esiste, ed è anche logica:
affiancare alla “no objeción” del Comune la “no objeción” della Junta de Vecinos del settore interessato.

Se l’evento si svolge in un barrio, è quel barrio che deve esprimersi.
Se la festa è accanto a una clinica, devono essere i residenti della zona—quelli che poi soffriranno la musica fino alle tre di notte—ad avere l’ultima parola.

La comunità non può essere una comparsa che subisce; deve essere un attore che decide.
Un o un no della Junta de Vecinos non dovrebbe essere un optional, ma una condizione obbligatoria per proteggere chi vive e lavora in quel luogo.

Responsabilità e rispetto

Le feste sono parte della cultura dominicana, nessuno lo nega. Ma tutto ha un limite: il diritto al divertimento non può calpestare il diritto al riposo e alla salute.
Se un Comune vuole realmente essere vicino alla sua gente, deve ascoltarla—e non solo quando arriva il periodo elettorale.

Coinvolgere le Juntas de Vecinos non è burocrazia: è democrazia di prossimità.
Ed è l’unico modo per evitare che chi decide continui a farlo da lontano, mentre chi vive accanto alla festa sopporta il rumore… e il silenzio delle istituzioni.

Repubblica Dominicana e presenza militare USA: tra polemiche e realpolitik



Negli ultimi giorni si è accesa una polemica che divide l’opinione pubblica dominicana: il permesso concesso dal governo agli Stati Uniti di dislocare, sul territorio nazionale, unità specializzate nella lotta al narcotraffico, in particolare quello proveniente dal Venezuela.

Un fenomeno che, secondo molte fonti internazionali, non è più soltanto criminale, ma presenta da anni caratteristiche istituzionalizzate, con settori del regime di Nicolás Maduro coinvolti direttamente nel cosiddetto Cartel de los Soles.

Tra sovranità e sicurezza nazionale

I critici dell’accordo parlano di sovranità violata, di ingerenza e di rischio geopolitico. Argomenti che, sulla carta, hanno un loro peso. È comprensibile che un Paese rivendichi il pieno controllo del proprio territorio e diffidi di qualsiasi presenza militare straniera, specialmente in un’area sensibile come i Caraibi.

Ma c’è un punto che spesso si ignora nel dibattito pubblico:
la Repubblica Dominicana non è un’isola isolata dal mondo, e il narcotraffico internazionale non conosce confini né formalità diplomatiche. Le rotte della droga che passano per il paese non sono un problema teorico, ma una minaccia diretta alla sicurezza, all’economia e alla stabilità sociale.

Gli Stati Uniti come alleato strategico

In questo contesto, la collaborazione con gli Stati Uniti non è un atto di sottomissione, ma una scelta di pragmatismo. Washington ha mezzi, tecnologia e intelligence che la RD, da sola, difficilmente potrebbe mettere in campo con la stessa efficacia.
E se queste operazioni servono a indebolire il traffico di droga che finanzia un regime autoritario come quello venezuelano, il discorso assume un valore ancora più ampio.

Il punto centrale: il Venezuela

Il popolo venezuelano ha già sofferto abbastanza: crisi economica devastante, repressione politica, esodi di massa, violazioni dei diritti umani documentate.
Se una maggiore pressione internazionale – anche attraverso il contrasto ai flussi criminali che sostengono il potere di Maduro – può facilitare un cambiamento, allora è legittimo domandarsi se davvero questa collaborazione sia un problema o piuttosto una opportunità storica.

Realismo, non romanticismo politico

Non viviamo nel mondo ideale dei manuali di geopolitica: viviamo in un’area dove cartelli, clan, milizie e governi ambigui convivono e interagiscono.
In questo scenario, scegliere di collaborare con chi ha le risorse per incidere realmente non è perdere la sovranità: è difenderla.

Le polemiche sono inevitabili, e forse anche salutari. Ma ridurre tutto a un “pro o contro gli Stati Uniti” è un esercizio sterile.
La vera domanda è un’altra:
questa collaborazione può migliorare la sicurezza dominicana e contribuire a far pressione sul regime venezuelano?
Se la risposta è sì, allora vale la pena mettere da parte i riflessi ideologici e guardare alla realtà dei fatti.

Perché tra romanticismi anti-imperialisti e narcotraffico senza frontiere, solo uno dei due rappresenta una minaccia concreta per la Repubblica Dominicana. E non è il primo.

Tra diritti violati e indifferenza: quando la frontiera è una trappola umanitaria


Dietro facili titoli su migranti “irregolari” e “contro l’immigrazione”, si nasconde una crisi di diritti umani che coinvolge un’intera generazione di profughi: gli haitiani che cercano rifugio nella Repubblica Dominicana. 

Decine di migliaia di uomini, donne e bambini haitiani sono costretti a fuggire da povertà e violenza — ma vengono accolti con deportazioni espresse, controlli nei pronto soccorso, paura e sospetto. Spesso lasciati senza tutele. 

Organizzazioni umanitarie, religiose e internazionali hanno denunciato come queste misure assumano tratti “razzisti”, “discriminatori” e “xenofobi”: un approccio che nega dignità e diritti fondamentali. 

Ciò che preoccupa è che questa logica non sembra emergenziale, ma strutturale: chi ha bisogno di aiuto viene trattato come un problema da isolare, non una persona da proteggere. In un mondo in cui l’Europa e l’Italia guardano con crescente attenzione ai flussi migratori e ai diritti umani, questi episodi chiamano in causa anche la coscienza internazionale.

In sintesi: la “guerra contro l’immigrazione irregolare” rischia di trasformarsi in una forma di apartheid sociale. Per un lettore europeo, è un promemoria acuto di come politiche migratorie e diritti umani siano intrecciati — e di quanto la dignità delle persone non possa essere barattata in nome della sicurezza o del benessere nazionale.

Domanda da portare a casa: un paese che pretende di rappresentare stabilità e sviluppo può davvero sacrificare i diritti di chi è più vulnerabile?

Tra corrotti e corruttori: i conti che non tornano nel governo Abinader


Il governo dell’attuale presidente Luis Abinader continua a proclamare tolleranza zero contro la corruzione — ma, dagli ultimi scandali, la realtà sembra raccontare una storia diversa. 

  • Un’alleanza anticorruzione, la ADOCCO, ha chiesto audit forensi su dieci entità pubbliche — dal Ministero dell’Istruzione al settore agricolo — denunciando “irregolarità finanziarie gravi” e “contratti sospetti” assegnati senza trasparenza. 

  • Non si tratta solo di amministrazione allegra: tra le accuse più pesanti ci sono l’uso arbitrario di fondi destinati a scuole, appalti gonfiati, favori a ditte legate a politici, e prestiti facili a “amici degli amici”. 

  • L’opinione pubblica percepisce non un errore isolato, ma un pattern sistemico: una burocrazia che cresce (con decine di migliaia di nuovi impiegati pubblici) mentre servizi essenziali collassano — ospedali carenti, tribunali intasati, lentezza nella giustizia. 

In sintesi: le promesse di trasparenza suonano sempre più vuote. Il rischio per la Repubblica Dominicana — e per chi la osserva da fuori, magari con occhi europei — è che il “ritorno del boom” venga costruito con denaro pubblico sperperato, privilegi politici, e impunità. Un’atmosfera che inevitabilmente indebolisce la fiducia dei cittadini e mina le basi di una democrazia sana.

Domanda che un lettore dovrebbe farsi: come può un paese crescere davvero se le sue istituzioni restano fragili e permeabili agli interessi privati?

Parcheggi a Las Terrenas: tra carenza di spazi e parcheggio selvaggio serve una soluzione concreta


A Las Terrenas il problema dei parcheggi è ormai una fotografia perfetta del caos urbano: pochi spazi pubblici, tante auto, strade strette e molto trafficate, e nessuna reale gestione. Le due vie principali sono diventate una linea continua di veicoli abbandonati, a volte anche per ore, senza la minima rotazione. Il risultato: traffico soffocato e un senso generale di abbandono.

Eppure una soluzione semplice e civile esiste: installare parchimetri a pagamento. Chi vuole parcheggiare vicino al centro o al negozio dove desidera andare potrebbe farlo pagando una tariffa equa, mentre chi preferisce risparmiare può usare i parcheggi già disponibili, anche se richiedono qualche minuto a piedi. In questo modo si limiterebbe la sosta selvaggia e si favorirebbe una circolazione più ordinata.

Il vero nodo, però, è la via Luperón. Non una strada qualunque, ma l’accesso più diretto e veloce all’ospedale. E proprio qui, incredibilmente, non esiste ancora alcun divieto di parcheggio, necessario su entrambi i lati. Così, soprattutto di notte, la Luperón si trasforma in un parcheggio abusivo dei clienti del casinò: auto lasciate dove capita, passaggi stretti e spesso bloccati, persone che sostano in mezzo alla strada disturbando il riposo dei residenti. Una scena che non dovrebbe esistere in un paese che ambisce a un minimo di ordine e sicurezza.

È evidente che serva un intervento immediato. Prima di tutto, occorre istituire finalmente il divieto di parcheggio su entrambi i lati della Luperón. Non è più accettabile che la strada che porta all’ospedale venga trattata come un’area di sosta libera.

Ma un divieto, da solo, non basta. In Repubblica Dominicana, come ovunque, una regola vale solo quanto la sua applicazione. Ecco perché sarebbe necessario prevedere un carro attrezzi presente sulla Luperón nelle ore critiche, pronto a rimuovere tutte le auto parcheggiate illegalmente. Niente tolleranza, niente scuse: chi blocca una strada d’emergenza deve vedere il proprio veicolo sollevato e portato via nel giro di pochi minuti. Solo così il messaggio diventerà chiaro.

Las Terrenas merita strade più sicure, residenti che possano dormire tranquilli e un accesso all’ospedale che non dipenda dall’umore dei clienti di un casinò. Parchimetri, divieti chiari e controlli seri non sono un capriccio: sono il minimo indispensabile per un paese che vuole crescere e farsi rispettare.