È con piacere che leggiamo, grazie all’agenzia AISE, la notizia del nuovo direttivo della Casa d’Italia a Santo Domingo, guidato da Rosanna Rive e affiancato da Angelo Viro e Jesus D’Alessandro. Un plauso a loro per l’entusiasmo e la volontà di rilanciare la sede come centro di cultura italiana nella Repubblica Dominicana.
Ma un plauso, oggi, vogliamo rivolgerlo anche all’AISE stessa: finalmente leggiamo “Casa d’Italia” — con la d apostrofata, come impone la grammatica italiana — e non “Casa de Italia”, come purtroppo per anni è stato riportato, anche nei materiali ufficiali della stessa istituzione.
Potrà sembrare un dettaglio, ma non lo è. L’identità passa anche (e soprattutto) dalla lingua. E se c’è un luogo in cui la lingua italiana va difesa con forza, è proprio nelle nostre istituzioni all’estero. In un Paese come la Repubblica Dominicana, dove è naturale adattarsi allo spagnolo per comunicare, dobbiamo comunque saper distinguere ciò che è nostro. Che si parli spagnolo con i dominicani è giusto. Ma che la Casa d’Italia venga chiamata con il suo nome corretto, in italiano, è doveroso.
Difendere la lingua è difendere la cultura, la memoria, l’orgoglio di essere italiani. E se cominciamo da una semplice apostrofe, forse è proprio da lì che possiamo ricostruire una presenza più consapevole e rispettata della nostra comunità.
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