mercoledì 30 luglio 2025

Terremoto in Kamchatka: e se toccasse a noi? La faglia dimenticata del nord dominicano

Il terremoto devastante che ha scosso la Kamchatka — magnitudo 8.8, tsunami e panico in mezzo Pacifico — può sembrare un fatto lontano, quasi irreale da queste parti. Eppure, eventi come questo dovrebbero suonare come campanelli d’allarme anche per chi vive nella tranquillità tropicale del nord della Repubblica Dominicana. Perché proprio sotto i nostri piedi, silenziosa e sempre in tensione, scorre una delle faglie sismiche più pericolose del pianeta: la faglia settentrionale.

Non è un’esagerazione. Lungo tutta la costa nord dell’isola, da Monte Cristi a Samaná, corre un’enorme frattura geologica che separa le placche tettoniche dei Caraibi e del Nord America. È la stessa faglia che nel 1946 provocò uno dei terremoti più violenti nella storia dominicana, con epicentro al largo di Samaná e un devastante tsunami che spazzò via interi villaggi. Quell’evento, spesso dimenticato, causò centinaia di morti e onde che penetrarono per chilometri all’interno.

Oggi, a distanza di quasi 80 anni, poco è cambiato. La faglia è ancora lì, viva, sotto pressione. Gli scienziati locali e internazionali continuano a monitorarla, e da tempo avvertono: il nord dell’isola non è affatto al sicuro. Santiago, Puerto Plata, San Francisco de Macorís, Cabrera, Las Terrenas, Samaná: tutte queste aree si trovano in una zona ad alto rischio sismico. Eppure, la sensazione generale è che la popolazione non sia pienamente consapevole del pericolo.

Molte costruzioni, specie in piccoli centri e zone rurali, non rispettano standard antisismici. Le scuole, gli ospedali, perfino le sedi municipali, in molti casi non sarebbero in grado di resistere a una scossa di grande magnitudo. E non si tratta solo di terremoti: una forte scossa marina potrebbe generare uno tsunami che arriverebbe sulla costa in pochi minuti, con conseguenze catastrofiche. In certe zone basse e pianeggianti, come parte della penisola di Samaná o la costa nord di Nagua, l’acqua potrebbe arrivare rapidamente e senza preavviso.

La domanda, dunque, non è se un altro grande terremoto arriverà, ma quando. Nel frattempo, il tempo si consuma nell’indifferenza. Si fanno esercitazioni ogni tanto, si scrivono piani di emergenza, ma la realtà è che gran parte della popolazione non sa cosa fare in caso di emergenza. Chi vive vicino al mare sa dove scappare se sente un terremoto forte? Chi lavora in edifici pubblici conosce le vie di evacuazione? E soprattutto: chi controlla che le nuove costruzioni rispettino criteri di sicurezza?

Il terremoto in Kamchatka ci ricorda, con brutale evidenza, che viviamo su un pianeta in movimento, dove le faglie non conoscono confini. E che anche in paradiso, a pochi chilometri dalle spiagge bianche e dalle palme, la terra può tremare. Meglio pensarci prima.


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