lunedì 28 luglio 2025

La lingua è la nostra casa: una riflessione da italiano in terra dominicana


Vivo nella Repubblica Dominicana da 27 anni, buona parte della mia vita, o quasi. Ho imparato ad amare questo Paese, a capirne le sfumature, ad adattarmi al suo ritmo e, ovviamente, a parlare il suo idioma. Quando entro in un’istituzione dominicana, mi rivolgo in spagnolo — anzi, in "dominicano", come è giusto e rispettoso che sia.

Ma c’è qualcosa che continua a infastidirmi. Non per mancanza di adattamento, né per nostalgia. Più per un senso profondo di identità.

Parlo dei testi, delle comunicazioni ufficiali, delle locandine e degli avvisi pubblicati in spagnolo da istituzioni italiane presenti in questo Paese: l’Ambasciata, la Casa d’Italia e altre realtà che dovrebbero rappresentare la nostra cultura e la nostra lingua.

Mi chiedo: perché?

Perché mai dovremmo rinunciare alla lingua italiana — che è parte fondante del nostro essere italiani — proprio negli spazi che dovrebbero custodirla? Perché rivolgersi in spagnolo a una comunità di italiani residenti?

Mi si potrebbe rispondere: "Perché anche i dominicani possano comprendere". Ma detto — e non concesso — questo principio, resta il fatto che noi italiani abbiamo imparato lo spagnolo, chi più chi meno, proprio per vivere e integrarsi qui. Allora, se un dominicano ha interesse a leggere i testi dell’Ambasciata d’Italia, o della Casa d’Italia, che impari l’italiano, come noi abbiamo fatto con la sua lingua.

Non è arroganza. È rispetto reciproco. È il principio della reciprocità culturale, della simmetria nei rapporti.

Certo, ci sono italiani che dopo anni non parlano ancora bene lo spagnolo. Ma ce ne sono anche — molti — che lo parlano perfettamente. Eppure, non è questa la questione centrale.

La vera domanda è: quale ruolo deve avere la lingua italiana nel rappresentare l’Italia all’estero?

Se anche le istituzioni italiane rinunciano a parlare italiano, allora stiamo accettando, lentamente ma inesorabilmente, una forma di contaminazione linguistica che non arricchisce, ma cancella. Che non include, ma confonde.

Io non voglio difendere una torre d’avorio. Voglio semplicemente che la nostra lingua continui ad avere cittadinanza. Almeno nelle sedi che ufficialmente rappresentano l’Italia.

Perché la lingua è la nostra casa. E quando quella casa smette di parlare italiano, smette anche un po’ di appartenerci.

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