giovedì 31 luglio 2025

Sentenza n. 142/2025 – Una vittoria storica per la cittadinanza italiana iure sanguinis

 

Bandiera italiana, figura della giustizia e Corte Costituzionale, simbolo del riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza.

La Corte Costituzionale conferma: il vincolo di sangue è sufficiente, senza limiti generazionali e senza necessità di dimostrare un “collegamento effettivo” con l’Italia.

Il 31 luglio 2025, la Corte Costituzionale italiana ha depositato la Sentenza n. 142/2025, con la quale ha rigettato integralmente le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattro diversi tribunali (Bologna, Roma, Milano e Firenze), che avevano sottoposto alla Corte dubbi sull’impianto normativo relativo alla cittadinanza italiana per discendenza.

Le ordinanze di rimessione sollevavano perplessità sull’attuale assetto del riconoscimento iure sanguinis, sostenendo che la trasmissione illimitata della cittadinanza per linea di sangue — in particolare in favore di persone nate all’estero da più generazioni — potesse risultare incostituzionale per mancanza di un collegamento effettivo con la comunità nazionale.

La Corte è stata chiara:

La cittadinanza italiana si trasmette per sangue, senza limiti generazionali e senza necessità di dimostrare residenza, cultura, lingua o legami attivi con l’Italia.

È stato ribadito in modo netto che l’art. 1, comma 1, lettera a) della legge n. 91/1992 è perfettamente conforme alla Costituzione, nella parte in cui stabilisce che è cittadino italiano per nascita “il figlio di padre o madre cittadini italiani”.
Il vincolo di filiazione — status filiationis — rimane l’unico presupposto sufficiente per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis.

❗ Importante chiarimento: la sentenza non riguarda la cosiddetta “Legge Tajani”

Molti si sono chiesti se la Corte abbia valutato anche la recente normativa introdotta dal decreto-legge 36/2025, convertito nella legge 74/2025, nota come “Legge Tajani”.
La risposta è no.

Questa pronuncia si riferisce esclusivamente al quadro normativo previgente e concerne cause giudiziarie già in corso prima dell’entrata in vigore della nuova legge.
Tuttavia, i principi affermati dalla Corte hanno valore generale e rafforzano ulteriormente la legittimità storica dello iure sanguinis.

Una risposta ferma a chi voleva restringere il diritto

I ricorrenti erano cittadini residenti in Brasile e Uruguay, discendenti diretti di italiani emigrati tra il XIX e il XX secolo. I tribunali sollevanti mettevano in discussione la legittimità di una trasmissione della cittadinanza a distanza di molte generazioni, senza obbligo di dimostrare un'appartenenza reale alla comunità italiana.

La Corte ha respinto con decisione queste argomentazioni, difendendo:

  • il valore storico e giuridico del legame di sangue;

  • la continuità del popolo italiano anche oltre i confini nazionali;

  • il principio di uguaglianza e non discriminazione tra cittadini nati in Italia e quelli nati all’estero da genitori italiani.

Un precedente giurisprudenziale fondamentale

Questa sentenza è destinata a diventare un punto di riferimento per la giurisprudenza futura.
Rafforza la posizione di coloro che:

  • hanno già avviato ricorsi per il riconoscimento della cittadinanza;

  • stanno preparando nuove domande;

  • sono preoccupati dagli effetti potenzialmente restrittivi della normativa introdotta nel 2025.

In sintesi:

Nessun limite generazionale: il sangue italiano si trasmette anche dopo molte generazioni.
Nessuna condizione aggiuntiva: non serve dimostrare legami attivi, lingua, cultura o residenza.
La legge 91/1992 è costituzionalmente legittima.
La sentenza non riguarda la “Legge Tajani”, ma rafforza il diritto iure sanguinis.

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Finalmente “Casa d’Italia” — con la d apostrofata!


È con piacere che leggiamo, grazie all’agenzia AISE, la notizia del nuovo direttivo della Casa d’Italia a Santo Domingo, guidato da Rosanna Rive e affiancato da Angelo Viro e Jesus D’Alessandro. Un plauso a loro per l’entusiasmo e la volontà di rilanciare la sede come centro di cultura italiana nella Repubblica Dominicana.

Ma un plauso, oggi, vogliamo rivolgerlo anche all’AISE stessa: finalmente leggiamo “Casa d’Italia” — con la d apostrofata, come impone la grammatica italiana — e non “Casa de Italia”, come purtroppo per anni è stato riportato, anche nei materiali ufficiali della stessa istituzione.

Potrà sembrare un dettaglio, ma non lo è. L’identità passa anche (e soprattutto) dalla lingua. E se c’è un luogo in cui la lingua italiana va difesa con forza, è proprio nelle nostre istituzioni all’estero. In un Paese come la Repubblica Dominicana, dove è naturale adattarsi allo spagnolo per comunicare, dobbiamo comunque saper distinguere ciò che è nostro. Che si parli spagnolo con i dominicani è giusto. Ma che la Casa d’Italia venga chiamata con il suo nome corretto, in italiano, è doveroso.

Difendere la lingua è difendere la cultura, la memoria, l’orgoglio di essere italiani. E se cominciamo da una semplice apostrofe, forse è proprio da lì che possiamo ricostruire una presenza più consapevole e rispettata della nostra comunità.

mercoledì 30 luglio 2025

Dollaro in aumento: le vendite superano ormai i 61 RD$

Poco a poco, il dollaro ha nuovamente aumentato il suo valore sul mercato valutario dominicano, superando nuovamente la soglia dei 60 pesos registrata negli ultimi 30 giorni.

Dal 23 al 29 luglio, il tasso di vendita del dollaro è salito da 60,97 pesos a 61,09 pesos, mentre il tasso di acquisto è aumentato da 60,48 a 60,72 pesos, secondo i dati della Banca Centrale della Repubblica Dominicana (BCRD).

Il prezzo di vendita della moneta americana ha quindi raggiunto un massimo mai visto dall'11 aprile, quando aveva registrato l'ultima quotazione di 61,28 pesos, e ha iniziato a stabilizzarsi al di sotto dei 60 pesos per gran parte di maggio e giugno.

Presso le tre principali banche del Paese, il dollaro viene scambiato tra 61,15 e 61,20 pesos, mentre il prezzo di acquisto è compreso tra 58,25 e 59,15 pesos.

Terremoto in Kamchatka: e se toccasse a noi? La faglia dimenticata del nord dominicano

Il terremoto devastante che ha scosso la Kamchatka — magnitudo 8.8, tsunami e panico in mezzo Pacifico — può sembrare un fatto lontano, quasi irreale da queste parti. Eppure, eventi come questo dovrebbero suonare come campanelli d’allarme anche per chi vive nella tranquillità tropicale del nord della Repubblica Dominicana. Perché proprio sotto i nostri piedi, silenziosa e sempre in tensione, scorre una delle faglie sismiche più pericolose del pianeta: la faglia settentrionale.

Non è un’esagerazione. Lungo tutta la costa nord dell’isola, da Monte Cristi a Samaná, corre un’enorme frattura geologica che separa le placche tettoniche dei Caraibi e del Nord America. È la stessa faglia che nel 1946 provocò uno dei terremoti più violenti nella storia dominicana, con epicentro al largo di Samaná e un devastante tsunami che spazzò via interi villaggi. Quell’evento, spesso dimenticato, causò centinaia di morti e onde che penetrarono per chilometri all’interno.

Oggi, a distanza di quasi 80 anni, poco è cambiato. La faglia è ancora lì, viva, sotto pressione. Gli scienziati locali e internazionali continuano a monitorarla, e da tempo avvertono: il nord dell’isola non è affatto al sicuro. Santiago, Puerto Plata, San Francisco de Macorís, Cabrera, Las Terrenas, Samaná: tutte queste aree si trovano in una zona ad alto rischio sismico. Eppure, la sensazione generale è che la popolazione non sia pienamente consapevole del pericolo.

Molte costruzioni, specie in piccoli centri e zone rurali, non rispettano standard antisismici. Le scuole, gli ospedali, perfino le sedi municipali, in molti casi non sarebbero in grado di resistere a una scossa di grande magnitudo. E non si tratta solo di terremoti: una forte scossa marina potrebbe generare uno tsunami che arriverebbe sulla costa in pochi minuti, con conseguenze catastrofiche. In certe zone basse e pianeggianti, come parte della penisola di Samaná o la costa nord di Nagua, l’acqua potrebbe arrivare rapidamente e senza preavviso.

La domanda, dunque, non è se un altro grande terremoto arriverà, ma quando. Nel frattempo, il tempo si consuma nell’indifferenza. Si fanno esercitazioni ogni tanto, si scrivono piani di emergenza, ma la realtà è che gran parte della popolazione non sa cosa fare in caso di emergenza. Chi vive vicino al mare sa dove scappare se sente un terremoto forte? Chi lavora in edifici pubblici conosce le vie di evacuazione? E soprattutto: chi controlla che le nuove costruzioni rispettino criteri di sicurezza?

Il terremoto in Kamchatka ci ricorda, con brutale evidenza, che viviamo su un pianeta in movimento, dove le faglie non conoscono confini. E che anche in paradiso, a pochi chilometri dalle spiagge bianche e dalle palme, la terra può tremare. Meglio pensarci prima.


martedì 29 luglio 2025

Giorgio Silli, nuovo Segretario Generale dell’IILA

 

Annuncio ufficiale della nomina di Giorgio Silli come Segretario Generale dell’IILA, pubblicato dall’Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana nel luglio 2025.

Giorgio Silli, attuale Sottosegretario agli Affari Esteri, è stato eletto per acclamazione nuovo Segretario Generale dell’IILA durante una sessione straordinaria del Consiglio dei Delegati. Assumerà ufficialmente l’incarico nel gennaio 2026, segnando una nuova fase nella cooperazione tra Italia e America Latina.

Roma, 28 luglio 2025 – In occasione di una sessione straordinaria tenutasi il 28 luglio, il Consiglio dei Delegati dell’Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana (IILA) ha eletto per acclamazione il nuovo Segretario Generale. Si tratta di Giorgio Silli, attuale Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Delegato del governo italiano presso l’IILA.

La candidatura italiana è stata presentata dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani, con il sostegno del Presidente dell’IILA e Ambasciatore del Messico, Carlos Eugenio García de Alba Zepeda.

Il nuovo Segretario Generale, Giorgio Silli, assumerà ufficialmente l’incarico nel mese di gennaio 2026.

Questa nomina segna un nuovo capitolo nella cooperazione tra l’Italia e l’America Latina, rafforzando i legami istituzionali, culturali e diplomatici tra le due realtà.

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Haiti, il caos alle porte. Dobbiamo preoccuparci?


Chi vive nella Repubblica Dominicana da qualche anno, lo sa bene: Haiti non è soltanto un paese vicino. È uno Stato povero, sfortunato, sofferente. È un vicino di casa con la porta sempre mezza rotta, da cui a volte arrivano rumori, urla, oppure silenzi che fanno ancora più paura.

Da mesi, Haiti è piombata in una spirale di violenza fuori controllo. La capitale, Port-au-Prince, è nelle mani delle bande armate. Le strade sono terra di nessuno, lo Stato è scomparso, la gente scappa dove può. Chi può fugge. Chi non può, si nasconde. 

Intanto, da questa parte della frontiera, ci chiediamo: dobbiamo preoccuparci?

Un confine fragile

La frontiera tra Haiti e la Repubblica Dominicana non è un muro invalicabile. È una linea sottile, fatta di colline, sentieri, mercati di confine e relazioni complesse. È sempre stata un confine poroso, dove si passa, si commercia, si lavora.

E mentre il governo dominicano rafforza la sicurezza, costruisce muri, schiera soldati e moltiplica i controlli, il timore cresce anche tra la gente comune. Cosa succederà se le bande armate cominciano a infiltrarsi anche qui? Cosa succederà se la violenza non si ferma alla dogana?

Chi vive nelle province di confine lo sente sulla pelle: c’è tensione. Gli haitiani che arrivano – molti dei quali donne, bambini, famiglie – spesso vengono respinti, oppure vivono nascosti, per paura delle retate, dei controlli, delle deportazioni.

I dominicani, da parte loro, sono divisi: c’è chi mostra solidarietà, chi offre aiuto, ma c’è anche chi si sente invaso, chi chiede ordine e sicurezza.

Il rischio, in tutto questo, è trasformare una crisi umanitaria in un conflitto sociale. La frontiera non è solo geografica: è anche culturale, politica, emotiva.

E noi stranieri?

Chi, come noi italiani o europei residenti, vive qui da anni, forse non siamo direttamente toccati dalle tensioni al confine, ma lo siamo indirettamente: nei prezzi che salgono, nella presenza militare che aumenta, nel clima di diffidenza che si respira.

La Repubblica Dominicana ha il diritto – e il dovere – di proteggersi. Ma non deve cadere nella trappola della paura e del rifiuto totale.

Chi fugge da Haiti non è un nemico. È una vittima. 

Noi che viviamo qui da anni, che abbiamo scelto questa terra come casa, che abbiamo imparato a capirla e ad amarla, possiamo provare a essere una voce equilibrata. Né buonisti, né xenofobi. Solo realisti con il cuore acceso.

Haiti non sparirà. Non è lontana. È dall’altra parte del fiume, della strada, del muro. E se un giorno ci sarà davvero bisogno… meglio avere un ponte, che solo un cancello chiuso.

Se vuoi rovinare un paradiso... parlane!


Ventisette anni fa, quando sono arrivato nella Repubblica Dominicana, ero un uomo ancora giovane. Avevo 46 anni, portati discretamente bene (con un po’ di sforzo e qualche bugia allo specchio).

A Las Terrenas, dove decisi di stabilirmi, gli stranieri non erano molti. In spiaggia si incontravano più mucche che gringos.

Le ragazze dominicane, e anche le poche haitiane presenti, mi guardavano con un misto di curiosità e interesse. Alcune mi chiamavano per nome, altre solo “papito”. Io, per parte mia, facevo finta di niente, ma dentro mi sentivo come George Clooney in una telenovela caraibica.

Oggi? Oggi non mi guarda più nessuno.

Non perché io sia invecchiato (anche se sì, va detto: i 46 sono diventati 73, la pancia si è fatta più espansiva e i capelli più timidi), ma perché la Repubblica Dominicana non è più quel paradiso sconosciuto che mi aveva accolto allora. È diventata… virale.

Ora ci sono italiani ovunque. Europei, nordamericani, digital nomads, influencer, pensionati con sogni massimi. Ne trovi al colmado, al ristorante, in banca, perfino dal barbiere che prima non parlava una parola di italiano e adesso ti dice: “Taglio come sempre, Ennio?”

Le ragazze? Ormai alcune scelgono con la stessa cura con cui noi scegliamo un vino in offerta: “Questo è italiano, ma troppo vecchio. Questo è francese, però è acido. Oh, guarda, questo è tedesco e ha la macchina con l’aria condizionata!”

E io? Io sono rimasto lì,  con i miei ricordi gloriosi del 1998.

Ora capisco il detto: “Se vuoi rovinare un paradiso, parlane.”

E qualcuno, accidenti a lui, ha parlato! Ha raccontato di Las Terrenas come del “segreto meglio custodito dei Caraibi”. E noi, poveri pionieri, ci siamo fregati con le nostre stesse bocche.

Comunque, mi consolo. Il mare è ancora bello e il sole splende (quasi sempre). 

Le buone ricette italiane: il minestrone di legumi e verdure

 

Il minestrone di legumi e verdure è una ricetta facile, nutriente e genuina, molto saziante e con pochi grassi. È senz’altro un piatto unico, perfetto da gustare in particolare in inverno ma va bene in tutte le stagioni. È ricco di sali minerali e vitamine, senza dubbio una sorta di mano santa che dovrebbe essere consumato ogni settimana. E poi è molto facile da preparare, cuoce praticamente da solo, giusto il tempo di preparare i legumi e le verdure. 

Ingredienti per 4 persone: 2 carote, 50 gr. di fagiolini, 1⁄2  cipolla, 1 costa di sedano, 2 patate medie, 50 gr.  circa di piselli, 200 gr. di fagioli borlotti, 100 gr. di ceci, 1 zucchina, 1 foglia di alloro, 4-5 pomodorini, 1  cucchiaino di concentrato di pomodoro, 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva, sale q.b., qualche foglia di alloro. 

Preparazione: lavate e mondate tutte le verdure, la cipolla, le carote, le patate, i fagiolini ed il sedano, poi tagliatele a pezzetti piccoli. 

Per i legumi potete utilizzare sia quelli secchi, che vanno messi in ammollo la sera prima di cuocerli e quindi lessati,  che quelli in scatola già pronti, che vanno aggiunti alla zuppa solo negli ultimi minuti di cottura. 

Per i piselli: se non avete quelli freschi vanno bene sia quelli surgelati, da aggiungere direttamente in pentola, oppure quelli in scatola già lessati. 

Prendete una pentola capiente e trasferitevi tutte le verdure a pezzetti compresi i piselli surgelati, due-tre cucchiai di olio extravergine d’oliva, l’alloro, due bicchieri di acqua, i pomodorini e la zucchina tagliati a pezzetti ed il concentrato di pomodoro, quindi cuocete il tutto a fuoco medio, con il coperchio, per circa 10 minuti. Dopodiché aggiungete circa un litro di acqua, regolate di sale e aggiungete un pizzico di pepe. Portate ad ebollizione e fate cuocere il minestrone per 15-20 minuti circa. Negli ultimi dieci minuti di cottura aggiungete i legumi già lessati, controllate il sale e fate cuocere ancora, verificando la consistenza del minestrone. 

Servite con dei crostini di pane croccante e un filo di olio a crudo. 

A piacere, al posto dei crostini di pane, potete aggiungere anche della pastina per minestre.

a cura dello chef Alex Ziccarelli


Marranzini assicura che entro l'estate del 2026 non ci saranno blackout nella Repubblica Dominicana


Il presidente del Consiglio Unificato delle Imprese di Distribuzione Elettrica (CUED), Celso Marranzini, ha dichiarato che non ci saranno interruzioni del servizio elettrico nel Paese entro l'estate del 2026, grazie ai progressi nella riduzione delle perdite, nel rinnovamento delle reti e nel miglioramento dell'infrastruttura energetica nazionale.

In un'intervista con la stampa presso LA Semanal, Marranzini ha spiegato che l'attuale deficit del settore ammonta a 1,7 miliardi di dollari, di cui circa 850 milioni di dollari corrispondono a sussidi. Tuttavia, ha assicurato che si stanno adottando misure decisive per invertire questa situazione.

"Stiamo lavorando sulle sottostazioni, sulle reti deteriorate e sulla riduzione delle perdite nel settore elettrico, ma queste perdite superano i 10 punti percentuali e rappresentano una delle principali cause del deficit finanziario del sistema", ha osservato.

Il funzionario ha anche fatto appello all'opinione pubblica, denunciando che una parte significativa del problema deriva dagli utenti che non pagano il servizio elettrico.

"Stiamo conducendo campagne di sensibilizzazione perché se non si paga il servizio elettrico, si danneggia il bilancio e l'economia dominicana. Queste risorse dovrebbero essere utilizzate per altre priorità nazionali", ha affermato Marranzini.

Il Presidente Luis Abinader ha inoltre sottolineato che il Paese sta vivendo il più alto livello di investimenti nel settore elettrico degli ultimi anni, il che rafforzerà la generazione, la distribuzione e la sostenibilità del servizio.

NdR: Se ci si permette una osservazione, la stessa cosa, ci sembra di ricordare, l'aveva detta anni fa quando entrò in funzione Punta Catalina.

da deultimominuto.net

lunedì 28 luglio 2025

La lingua è la nostra casa: una riflessione da italiano in terra dominicana


Vivo nella Repubblica Dominicana da 27 anni, buona parte della mia vita, o quasi. Ho imparato ad amare questo Paese, a capirne le sfumature, ad adattarmi al suo ritmo e, ovviamente, a parlare il suo idioma. Quando entro in un’istituzione dominicana, mi rivolgo in spagnolo — anzi, in "dominicano", come è giusto e rispettoso che sia.

Ma c’è qualcosa che continua a infastidirmi. Non per mancanza di adattamento, né per nostalgia. Più per un senso profondo di identità.

Parlo dei testi, delle comunicazioni ufficiali, delle locandine e degli avvisi pubblicati in spagnolo da istituzioni italiane presenti in questo Paese: l’Ambasciata, la Casa d’Italia e altre realtà che dovrebbero rappresentare la nostra cultura e la nostra lingua.

Mi chiedo: perché?

Perché mai dovremmo rinunciare alla lingua italiana — che è parte fondante del nostro essere italiani — proprio negli spazi che dovrebbero custodirla? Perché rivolgersi in spagnolo a una comunità di italiani residenti?

Mi si potrebbe rispondere: "Perché anche i dominicani possano comprendere". Ma detto — e non concesso — questo principio, resta il fatto che noi italiani abbiamo imparato lo spagnolo, chi più chi meno, proprio per vivere e integrarsi qui. Allora, se un dominicano ha interesse a leggere i testi dell’Ambasciata d’Italia, o della Casa d’Italia, che impari l’italiano, come noi abbiamo fatto con la sua lingua.

Non è arroganza. È rispetto reciproco. È il principio della reciprocità culturale, della simmetria nei rapporti.

Certo, ci sono italiani che dopo anni non parlano ancora bene lo spagnolo. Ma ce ne sono anche — molti — che lo parlano perfettamente. Eppure, non è questa la questione centrale.

La vera domanda è: quale ruolo deve avere la lingua italiana nel rappresentare l’Italia all’estero?

Se anche le istituzioni italiane rinunciano a parlare italiano, allora stiamo accettando, lentamente ma inesorabilmente, una forma di contaminazione linguistica che non arricchisce, ma cancella. Che non include, ma confonde.

Io non voglio difendere una torre d’avorio. Voglio semplicemente che la nostra lingua continui ad avere cittadinanza. Almeno nelle sedi che ufficialmente rappresentano l’Italia.

Perché la lingua è la nostra casa. E quando quella casa smette di parlare italiano, smette anche un po’ di appartenerci.

Presentato il TP-75 Dulus alla F-AIR Colombia 2025. Assemblato in RD in collaborazione con la italiana Flying Legend


Nel contesto della fiera internazionale 015 FAIR Colombia 2025, la Forza Aerea della Repubblica Dominicana ha presentato il TP-75 Dulus, velivolo da addestramento e ricognizione.


L'aereo è assemblato in Repubblica Dominicana grazie alla collaborazione con l’azienda italiana Flying Legend, che fornisce il materiale e supporta i tecnici della Forza Aerea che assemblano il Dulus in Repubblica Dominicana.
Il Dulus è progettato per rispondere alle esigenze di formazione, pattugliamento e sorveglianza a costi contenuti, offrendo al contempo un’autonomia estesa, avionica digitale e sistemi di sicurezza avanzati.

La partecipazione a questa importante fiera regionale rappresenta un passo significativo dello sviluppo delle capacità della FARD, rafforzando il ruolo regionale della Repubblica Dominicana come attore emergente nel settore aerospaziale regionale.

Il nome dell’aeromobile rende omaggio alla cigua palmera, simbolo nazionale, e celebra i 75 anni di servizio della Fuerza Aérea.

Cristoforo Colombo era davvero italiano? E la sua scoperta fu una benedizione… o una tragedia?


Cristoforo Colombo: eroe per alcuni, invasore per altri. Navigatore genovese, celebrato in tutta Italia, ammirato (e anche discusso) in Spagna e nelle Americhe. Ma a ben vedere, una domanda sorge spontanea: possiamo davvero definirlo "italiano"?

Genovese sì, italiano… ni

Colombo nacque a Genova nel 1451. Questo è uno dei pochi dati certi della sua biografia. Ma all’epoca, l’Italia non esisteva. C’erano stati indipendenti come la Repubblica di Venezia, il Ducato di Milano, il Regno di Napoli, lo Stato Pontificio… e appunto la Repubblica di Genova, patria di commercianti e navigatori. L’identità nazionale italiana, come la conosciamo oggi, sarebbe nata solo nel 1861, più di tre secoli dopo la morte di Colombo.

Dunque, chiamarlo "italiano" è tecnicamente scorretto, almeno in senso storico. Lui stesso si firmava spesso in spagnolo o latino e operò per conto della Corona di Castiglia, non di una potenza "italiana".

Tuttavia, se consideriamo "italiano" chi ha radici nella penisola e nella sua cultura, allora sì: Colombo era italiano di origine, così come Leonardo da Vinci o Dante Alighieri. Ma attenzione a non proiettare identità moderne su epoche passate.

Una scoperta… per chi?

E qui arriva la seconda, più delicata domanda: la sua impresa portò bene o male?

Dal punto di vista europeo, fu una rivoluzione. Aprì la strada a secoli di colonizzazione, commercio, scambi, migrazioni e — in prospettiva — alla nascita del mondo moderno. Senza Colombo (e quelli che vennero dopo di lui), non esisterebbero le Americhe così come le conosciamo oggi.

Ma dal punto di vista delle popolazioni caraibiche, la sua impresa segnò l’inizio di una catastrofe. Quando Colombo arrivò, gli indigeni Taíno vivevano in un equilibrio relativamente pacifico con la natura, senza grandi guerre, senza armi da fuoco, senza cavalli, e soprattutto senza le malattie europee come il vaiolo, l’influenza o il morbillo.

Nel giro di pochi decenni, quelle popolazioni furono decimate. Schiavizzate, convertite con la forza, espropriate delle loro terre, e infine sostituite da schiavi africani importati con la tratta atlantica.

Un eroe controverso

Colombo fu un uomo del suo tempo: ambizioso, determinato, ma anche spietato. Non fu né un santo né un demonio, ma un protagonista della storia. La sua figura divide: in America Latina molte statue sono state abbattute o contestate, in segno di protesta contro il colonialismo. In altri luoghi viene ancora celebrato come un pioniere.

E allora?

Forse la vera domanda non è se Colombo fosse italiano o se la sua scoperta portò bene o male. Forse dovremmo chiederci come vogliamo ricordarlo oggi: come simbolo di incontro tra mondi, o come monito sulle conseguenze dell’arroganza e della conquista.

Inizio di settimana con la pioggia. Diverse province in allerta


Un'onda tropicale in movimento sul territorio dominicano e una depressione manterranno condizioni favorevoli per forti rovesci in tutto il paese, costringendo diverse province a essere in stato di allerta.

Secondo un rapporto dell'Istituto Dominicano di Meteorologia (Indomet), stamattina sono previsti rovesci sparsi sulle città delle regioni nord-orientali, sud-orientali e sud-occidentali.

Dopo mezzogiorno, la nuvolosità continuerà ad aumentare, con forti rovesci, temporali e raffiche di vento previsti fino a sera sulle province di La Altagracia, El Seibo, Hato Mayor, Monte Plata, San Pedro de Macorís, La Romana, Duarte e Sánchez Ramírez.

Cédula con chip: per 50.000 stranieri residenti si rischia il caos?


A partire da ottobre 2025, il governo dominicano avvierà la sostituzione obbligatoria delle attuali cédulas (documenti di identità) con una nuova versione dotata di chip elettronico, più sicura e moderna. L’operazione riguarderà tutti i cittadini dominicani e anche gli stranieri residenti regolari.

Mentre per i dominicani sarà possibile rivolgersi al proprio Comune di residenza, per gli stranieri — salvo comunicazioni diverse la procedura dovrà avvenire presso l’ufficio della Junta Central Electoral (JCE) nella capitale, Santo Domingo.

Una premessa che fa sorgere seri dubbi sulla fattibilità logistica dell’operazione.

Facciamo due conti

  • Gli stranieri con residenza legale attiva sono stimati in circa 50.000.

  • Se la sostituzione avverrà nell’arco di 12 mesi, con calendario basato sul mese di nascita:

    • Dovranno presentarsi in media 4.166 persone al mese.

    • In 20 giorni lavorativi mensili, ciò equivale a 209 stranieri al giorno.

  • Considerando un tempo medio minimo di 5 minuti per ciascuna cédula:

    • Serviranno 1.045 minuti al giorno, ovvero 17 ore lavorative quotidiane.

Anche assumendo che ci siano due sportelli funzionanti per stranieri, ciascuno dovrebbe operare 8 ore e 30 minuti al giorno senza sosta, sabati esclusi, senza ritardi, guasti, pause o problematiche tecniche

Una missione (quasi) impossibile

In queste condizioni, l’operazione appare logisticamente insostenibile, a meno che:

  • La Junta non apra uffici secondari per stranieri nelle province;

  • Non si consenta agli stranieri di rinnovare presso i Comuni, come i cittadini dominicani;

  • Oppure non si dilati la finestra temporale per lo scambio della cédula, evitando di legarla rigidamente al mese di nascita.

Se nulla cambierà, migliaia di stranieri regolari rischiano lunghe code, disagi e perfino ritardi nell’ottenere il nuovo documento, il quale è essenziale per ogni pratica legale, bancaria, migratoria e lavorativa.

In attesa di chiarimenti

Il nostro sito, come voce della comunità straniera in Repubblica Dominicana, chiede pubblicamente alla Junta Central Electoral di fornire delucidazioni chiare, tempestive e in più lingue, affinché l’intera popolazione residente possa affrontare questa transizione con dignità ed efficienza.

domenica 27 luglio 2025

Rivoluzione digitale per gli italiani all’estero! La nuova CIE cambia tutto

 

Primo piano di una CIE italiana tenuta in mano con panorama estero sullo sfondo
La nuova Carta d’Identità Elettronica (CIE) consente ai cittadini italiani all’estero
di accedere ai servizi pubblici in modo digitale.

Immagina questo: da qualsiasi parte del mondo puoi richiedere un certificato di esistenza in vita, cambiare la tua residenza direttamente con il comune in Italia, e accedere a servizi fiscali e sanitari senza fare una sola fila al consolato.
Ti sembra fantascienza? Invece è realtà.
È la nuova Carta d’Identità Elettronica (CIE): un documento che sta rivoluzionando la vita dei cittadini italiani all’estero.

⚡ Una chiave digitale per l’Italia del XXI secolo

La CIE non è solo un documento di identità. È una chiave di accesso all’amministrazione pubblica italiana:

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Addio a Flavio Peroncini, pioniere e amico di tutti

 


Avrebbe compiuto 62 anni tra pochi giorni Flavio Peroncini, milanese d’origine e dominicano d’adozione, uno dei primi italiani a credere nelle potenzialità di Las Terrenas.

Arrivato negli anni ’90, Flavio ha lasciato un segno indelebile nella storia della località, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo del turismo e alla nascita della vita notturna che avrebbe reso famosa Las Terrenas. Mitico il suo Palapa, punto di riferimento per generazioni di residenti e turisti, simbolo di allegria, ospitalità e buona cucina.

Negli anni successivi si era trasferito a Santiago, dove aveva continuato a dedicarsi con passione alla ristorazione e all’intrattenimento, sempre con il suo stile inconfondibile.

Rientrato recentemente in Italia per motivi di salute, Flavio si è spento lasciando un grande vuoto non solo tra i suoi amici, ma in tutta la comunità italiana della Repubblica Dominicana, che oggi lo ricorda con affetto, riconoscenza e un sorriso velato di malinconia.

Buon viaggio, Flavio. Las Terrenas non ti dimenticherà.

sabato 26 luglio 2025

Tutto esaurito: appuntamenti impossibili per i servizi consolari italiani

Ancora una volta, i cittadini italiani residenti nella Repubblica Dominicana si trovano davanti a un muro: nessuna disponibilità per appuntamenti relativi a documenti d’identità o pratiche di stato civile.

A diffondere l’avviso — con un eloquente e amaro “No Comment !!!” — è uno sportello di assistenza gratuita per gli italiani.

Nel dettaglio, i servizi di:

  • Anagrafe e Stato Civile

  • Carta d’identità e Carta d’Identità Elettronica (CIE)
    risultano completamente prenotati, senza possibilità di fissare nuovi appuntamenti.

Il motivo? Sempre lo stesso: "elevata richiesta". 

Nel frattempo, chi ha bisogno urgente di una carta d’identità valida, di registrare un matrimonio o di un documento per viaggiare è spesso costretto:

  • ad aspettare mesi senza risposte,

  • o a rientrare in Italia a proprie spese.

Nel frattempo, in attesa di soluzioni strutturali e di un rafforzamento dei servizi, la comunità italiana continua a crescere, a contribuire e a chiedere semplicemente la possibilità concreta di accedere ai propri diritti, anche a migliaia di chilometri da casa.

 

Cosa ha portato davvero l’italiano in Repubblica Dominicana? A parte la carbonara…

 


Italiano che arriva in Repubblica Dominicana:

“Che fai qui?”
“Ho un ristorante.”
Fine del cliché.

Se ci pagassero un peso ogni volta che sentiamo questa conversazione, oggi saremmo tutti milionari a bordo piscina a Casa de Campo. E invece no: stiamo ancora qua a chiederci, con una mano sul cuore e una forchetta nell’altra, cosa ha portato davvero l’immigrazione italiana nella Repubblica Dominicana.

Un patrimonio gastronomico (e calorico)

La risposta più ovvia — e anche la più gustosa — è la cucina. Gli italiani qui hanno sfamato mezza isola. Hanno preso il concetto di pizza “dominicana” con ketchup e salame finto e l’hanno restituito al mondo sotto forma di vera pizza, con mozzarella, pomodoro e — grazie a Dio — senza mais.

Ci sono chef stellati, pizzaioli che lavorano a 40 gradi all’ombra davanti a un forno a legna e baristi che, invece del ron con cola, ti preparano un espresso come Dio comanda.
Solo questo vale la cittadinanza onoraria.

Ma oltre la cucina… qualcosa c’è?

Sì, certo. Ci sono imprenditori. Alcuni fanno gelati. Altri importano pasta, vino, formaggi. Poi ci sono quelli che vendono piscine, costruiscono case, affittano jeep, organizzano escursioni, fanno siti web, vendono immobili, riparano climatizzatori e — udite udite — ci sono anche avvocati, architetti, medici e persino insegnanti.

Lo so, non è facile da credere. Ma l’italiano è una creatura versatile: oggi ti fa una carbonara, domani ti apre una clinica estetica.

L’italiano: un animale tropicale adattabile

Perché poi, diciamocelo, l’italiano in Repubblica Dominicana si adatta. Magari è arrivato con il sogno di aprire una galleria d’arte, ma dopo tre bollette di EdeEste e un affitto in pesos “indexado al dólar” ha capito che era meglio fare focacce e spritz.

E va benissimo così. Perché anche portare un po’ di cultura gastronomica è cultura. E anche far funzionare un bar in cui si può parlare italiano, bere un Negroni e ascoltare Battisti, è una forma di resistenza culturale.

E allora… grazie, pizzaioli!

Quindi no, non abbiamo portato solo pizza e cappuccini. Ma anche se fosse: volete mettere la felicità di un dominicano che assaggia una vera lasagna per la prima volta nella vita?

Se poi un giorno nascerà un premio Nobel dominicano con sangue italiano, ne parleremo. Ma intanto, lasciateci onorare chi, ogni giorno, combatte il caldo, il blackout e le farine locali per farci sentire a casa.

Saona, l’isola dal nome italiano che incanta i Caraibi


Tra tutte le meraviglie naturali della Repubblica Dominicana, ce n’è una che colpisce non solo per le sue spiagge bianchissime e le acque turchesi, ma anche per il suo nome: Saona. Sembra il nome di una località ligure, o forse di un vino toscano. E in effetti, un’origine italiana c’è davvero.

Ma cominciamo dal principio.

Un’icona caraibica dal fascino europeo

L’isola di Saona si trova al largo della costa sud-orientale della Repubblica Dominicana, all'interno del Parque Nacional del Este (oggi Parque Nacional Cotubanamá), ed è una meta obbligata per chi visita il Paese. La maggior parte dei tour turistici che partono da Bayahibe o da Punta Cana includono una giornata a Saona: nuotate tra le stelle marine, barbecue in riva al mare, palme piegate dal vento e tramonti mozzafiato.

Quello che pochi sanno, però, è che Saona deve il suo nome a un italiano.

Il regalo di Colombo a un amico genovese

Era il 1494. Cristoforo Colombo, durante il suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo, scoprì quest’isola e decise di battezzarla “Saona” in onore di Michele da Cuneo, un gentiluomo genovese al suo seguito, originario di Savona. Fu un piccolo omaggio a casa, a quell’Italia che Colombo portava nel cuore.

Da allora, il nome è rimasto. E così, nel cuore dei Caraibi, a centinaia di chilometri da Genova, esiste ancora oggi un’isola che si chiama come una città ligure.

Saona oggi: bellezza, turismo e conservazione

Oggi l’isola è abitata solo da poche decine di persone, concentrate nel piccolo villaggio di Mano Juan, che vive di pesca e turismo. Non ci sono hotel né grandi strutture turistiche, e proprio questo ha preservato l’ambiente naturale. La fauna marina abbonda, le mangrovie sono rigogliose e le tartarughe marine vengono ancora qui a deporre le uova.

Per i turisti, Saona è un sogno a occhi aperti. Ma anche per noi italiani all’estero o italiani in Repubblica Dominicana, è qualcosa di più: un pezzo d’Italia sbocciato tra le onde dei Caraibi.

E forse, la prossima volta che poserai i piedi su quella sabbia bianca, penserai con un sorriso che sì, Saona è un po’ italiana anche lei.

venerdì 25 luglio 2025

Festività a rotelle: quando in Repubblica Dominicana anche le feste fanno le valigie


In tutto il mondo civile — o presunto tale — le festività hanno una data fissa. Il 1° maggio? Festa dei Lavoratori. Il 19 marzo? San Giuseppe, Festa del Papà. E guai a chi le tocca. In Repubblica Dominicana, invece, no: qui le feste non stanno ferme. Qui le feste… si spostano.

Non si tratta di scioperi, né di improvvisi ripensamenti religiosi. È semplicemente un’abitudine, tutta caraibica e ben radicata, di "mobilitare" le festività per farle cadere strategicamente di lunedì. Così si crea un bel "fin de semana largo" — cioè un fine settimana lungo — per la gioia dei turisti, degli albergatori e di chi può permettersi una gita fuori porta. Gli altri? Al lavoro, con il sorriso (più o meno).

Prendiamo il 1° maggio, ad esempio. In Italia, in Francia, in Argentina e in buona parte del mondo, quel giorno è sacro: bandiere rosse, concertoni, manifestazioni, grigliate. Qui no. Qui il 1° maggio è un giorno come un altro: ci si alza, si va in ufficio, si timbra il cartellino. La Festa dei Lavoratori, paradossalmente, si lavora. Poi, qualche giorno dopo, ecco la magia: la festa arriva, vestita di lunedì, e tutti al mare come se nulla fosse.

Anche la Festa della Mamma cambia look: invece della seconda domenica di maggio (come da tradizione mondiale), qui viene celebrata l’ultima domenica del mese. Forse per dare tempo ai figli ritardatari di organizzarsi? Un colpo di genio.

Ma il capolavoro assoluto è la Festa del Papà. In quasi tutto il mondo si celebra il 19 marzo, ma non in Repubblica Dominicana. Qui, i papà vengono festeggiati l’ultima domenica di luglio. Quest’anno, proprio dopodomani. Un ottimo pretesto per una grigliata in più, magari con qualche birra fresca e un po’ di bachata in sottofondo. San Giuseppe capirà.

La logica? Turistica, certo. Economica, ovvio. Ma anche poetica, se vogliamo: in fondo, che male c’è a spostare una festa se questo aiuta a goderla meglio? In un mondo che corre troppo in fretta, forse è giusto rallentare. E magari farlo il lunedì.

Morale della favola?
In Repubblica Dominicana anche le feste hanno il passaporto, e non esitano a fare le valigie per regalarti un lungo weekend di sole, sabbia e sancocho.

E allora buon fine settimana lungo a tutti… e auguri, papà! Anche se in ritardo. O in anticipo. O boh.

Pizza, pasta e prediabete: come sopravvivere da Italo-Dominicani tra nostalgia italiana e fast food caraibico


Per noi italiani, la pizza non è solo un piatto: è un simbolo. È domenica in famiglia, è amicizia, è casa. E lo stesso vale per la pasta, per il pane, per quel modo tutto nostro di stare a tavola. Ma cosa succede quando arriva una diagnosi che stravolge tutto questo?

Quando ti dicono che hai il diabete, o sei in prediabete, la prima reazione è panico: “Addio pasta? Addio pizza? Addio Italia?”

No, non è una condanna a morte. Ma è un brusco risveglio. Serve cambiare mentalità, e tornare a mangiare davvero come italiani. Non come abbiamo fatto negli ultimi decenni, tra esagerazioni, porzioni enormi e cibo industriale.

Il problema non è la pasta, è l’abuso

La vera dieta mediterranea — quella contadina — non era un trionfo di carboidrati raffinati. Era fatta di equilibrio: pane integrale, legumi, verdure, olio extravergine, pesce, un po’ di vino e movimento.
Oggi, invece, spesso la nostra “italianità alimentare” si riduce a pasta bianca, pizza surgelata e dolci confezionati. E il nostro corpo, sotto sotto, si ribella.

La pizza: patrimonio o pericolo?

Prendiamo proprio lei, la pizza. Nata a Napoli, cresciuta col pomodoro americano e la fantasia del popolo, diventata mito con la regina Margherita nel 1889. Un piatto povero, ma perfetto.

Oggi è riconosciuta come patrimonio dell’umanità. Ma c’è pizza e pizza.

Una pizza artigianale, fatta con farina buona, lievitazione lunga, pochi ingredienti freschi, è un pasto completo e bilanciato, anche per chi ha il diabete.
Una pizza industriale — con croste ripiene, salse dolci, cheddar, bacon e ananas — è una bomba glicemica travestita da cena.

E nella Repubblica Dominicana? Una sfida culturale

Per gli italiani che vivono nella Repubblica Dominicana, la pizza è anche una battaglia identitaria.
Esistono ottimi pizzaioli italiani nel Paese — da Las Terrenas a Santo Domingo — che preparano pizze autentiche, con ingredienti di qualità. Ma la concorrenza è spietata: Pizza Hut, Domino’s, Papa John’s sono ovunque. Prezzi bassi, croste imbottite, salsine zuccherate. E un gusto pensato per palati locali, spesso poco abituati alla delicatezza della cucina mediterranea.

Il problema? Queste pizze non solo offendono il buon gusto, ma fanno male. Sono piene di grassi trans, zuccheri, additivi. Per un diabetico o prediabetico, rappresentano un pericolo concreto.

Cosa fare per non morire (né di fame né di nostalgia)?

  • Scegli pizza vera, da italiani veri. Una Margherita ben fatta vale più di una “extracheese” con sei condimenti.

  • Riduci le porzioni, ma non il piacere. Meglio mezza pizza buona che una intera finta.

  • Accompagna sempre con verdure o una passeggiata dopo pasto.

  • Riscopri la dieta mediterranea autentica: legumi, verdure, pesce, olio buono.

  • Evita zuccheri nascosti (bibite, succhi, salse pronte).

  • E ricordati: la qualità non si misura in chili né in calorie, ma in sapore, semplicità e salute.

Morale? Non rinunciare alla pizza. Difendila.

Il diabete non è la fine del piacere di mangiare italiano. È un invito a mangiare meglio, con più coscienza e più orgoglio.

E se vivi all’estero, come tanti di noi, non vergognarti di spiegare che la pizza vera non ha ketchup. Ha storia, ha sapore, ha anima.

Chi ha inventato la pizza? Viaggio alle origini del piatto italiano più famoso nel mondo


La pizza. Croccante o morbida, alta o sottile, semplice o farcita. È il simbolo della cucina italiana nel mondo, un orgoglio nazionale che unisce Napoli a Buenos Aires, Roma a New York, Palermo a Toronto. Ma chi l’ha davvero inventata?

Dalle focacce antiche alla pizza moderna

La verità è che l'idea di cuocere un impasto di farina e acqua su pietra calda è antichissima. Già Egizi, Greci e Romani preparavano focacce schiacciate con erbe e olio. Ma parlare di "pizza" come la intendiamo oggi è un’altra storia.

Il termine “pizza” compare per la prima volta in un documento latino del 997, a Gaeta, nel Lazio. Ma era una sorta di focaccia rustica, niente a che vedere con la pizza odierna. Fu a Napoli, nel XVIII secolo, che nacque qualcosa di più simile: una pasta lievitata, cotta nel forno a legna e condita con ingredienti semplici, come aglio, strutto, basilico e caciocavallo.

Il pomodoro cambia tutto

Il vero colpo di scena arrivò nel Seicento, quando il pomodoro — giunto dalle Americhe — iniziò a essere usato in cucina. I napoletani poveri cominciarono a condire le focacce con pomodoro e a venderle per strada. Così nacque la pizza rossa, che divenne presto popolare tra il popolo partenopeo.

La regina Margherita e il mito dell’invenzione

La leggenda più famosa risale al 1889. Il pizzaiolo Raffaele Esposito, della pizzeria Brandi di Napoli, avrebbe preparato tre pizze in onore della regina Margherita di Savoia in visita a Napoli. Una di queste — con pomodoro, mozzarella e basilico — avrebbe richiamato i colori della bandiera italiana. La regina l’avrebbe apprezzata tanto da far inviare una lettera di ringraziamento. Nacque così la pizza Margherita, e con essa il mito dell'invenzione ufficiale della pizza moderna.

Dalla Campania al mondo

Nel Novecento, con l’emigrazione italiana, la pizza varcò l’oceano. Gli italiani all’estero — specie negli Stati Uniti e in Sud America — aprirono pizzerie ovunque, portando con sé il gusto di casa. Negli anni, la pizza si è trasformata, adattandosi ai gusti locali: quella napoletana resta un’icona, ma sono nate la pizza romana, quella al taglio, la “deep dish” di Chicago, la “fugazzeta” argentina…

Patrimonio dell’Umanità

Nel 2017, l’arte del pizzaiuolo napoletano è stata riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Non solo per la bontà del piatto, ma per il valore culturale, artigianale e sociale che rappresenta.


Insomma, la pizza non l’ha inventata un solo uomo, ma un intero popolo. Un’evoluzione secolare che parte dalle strade di Napoli per conquistare il pianeta. E ovunque si trovi, ogni italiano sa che una fetta di pizza è un morso di casa.


Fammi sapere se vuoi un paragrafo finale che inviti gli italiani all’estero a raccontare la loro pizza preferita o la pizzeria del cuore nel mondo. Potrebbe essere una rubrica coinvolgente.

giovedì 24 luglio 2025

Le buone ricette italiane dello chef Alex Ziccarelli: le orecchiette con le cime di rapa

Nell’ampio panorama culinario italiano ogni regione ha i suoi piatti tradizionali che raccontano la storia e le radici gastronomiche di quella terra. 

Un esempio assai calzante e, allo stesso tempo,  straordinario sono, senza dubbio, le orecchiette con le cime di rapa, uno dei più autentici simboli della tradizione culinaria del Sud Italia, sicuramente una delle eccellenze della cucina tradizionale pugliese, un piatto che richiede maestria e dedizione per raggiungere la perfezione ma che, con un pò di impegno, si può fare anche a casa. 

Ecco gli ingredienti per 4 persone: 400 gr. di orecchiette, 1 kg. di cime di rapa, 4 filetti di acciughe, 4-5 cucchiai di olio extra vergine di oliva, peperoncino q.b.,  aglio q.b., sale q.b. 

Preparazione: pulite le cime di rapa, selezionando le foglie migliori e più tenere ed eliminando le parti più dure, quindi tagliate sia le foglie che le cimette a pezzi prima di immergerle nell’acqua di cottura. Fate bollire l’acqua opportunamente salata in una pentola molto ampia, in modo che possa contenere non solo le cime di rapa ma anche le orecchiette. 

Versare inizialmente solo le rape per farle ammorbidire, mentre le cimette possono essere aggiunte in ultimo poiché richiedono meno tempo di cottura. Quando l’acqua ricomincia a bollire (e quindi dopo circa 3-5 minuti di cottura della verdura), versate nella pentola anche le orecchiette. Devono cuocere insieme affinché la pasta assorba tutti i sapori delle cime di rapa. 

Le orecchiette saranno pronte in circa 8-10 minuti. Nel frattempo, in un’altra padella preparate un soffritto con dell’olio extravergine d’oliva, l’aglio e le acciughe e poi aggiungete del  peperoncino quanto basta, a vostro piacimento. 

Quando la pasta sarà al dente, trasferitela nella padella del condimento insieme alle cime di rapa e fate saltare il tutto per alcuni minuti per insaporire al meglio le orecchiette. E, come sempre, buon appetito.


A cura di Alex Ziccarelli

 
 

 

 

mercoledì 23 luglio 2025

Perché è importante iscriversi all’AIRE se vivi all’estero?

 

Infografica sui vantaggi dell’iscrizione all’AIRE per cittadini italiani all’estero

Se sei un cittadino italiano che vive all’estero da più di 12 mesi, devi sapere che l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) non è facoltativa, ma obbligatoria per legge e si rischiano sanzioni.

Ma non è solo una questione burocratica: iscriversi all’AIRE ti permette di accedere a diversi servizi fondamentali presso i consolati del Paese in cui sei registrato.

✅ A cosa serve l’AIRE?

  • Per rinnovare il passaporto

  • Per votare alle elezioni politiche e ai COMITES

  • Per richiedere il Codice Fiscale e/o la Carta d’Identità Elettronica (CIE)

🔴 Attenzione: potrai richiedere questi servizi solo nel consolato del Paese in cui sei iscritto.
Esempio: se sei iscritto all’AIRE negli USA ma vivi in Canada, non potrai ottenere servizi consolari dai consolati canadesi finché non aggiorni la tua residenza.

📲 L’iscrizione si può fare comodamente online tramite il portale FAST IT, in modo semplice, gratuito e veloce.

Autore:

Pensionati INPS. In agosto saranno pagati tramite Citibank

Dal Comites Santo Domingo.

Condividiamo le ultime informazioni fornite dal Patronato Encal-Cisal Santo Domingo , in merito al tema inerente l'erogazione delle pensioni del mese di luglio c.a.: 

CHI NON HA RISCOSSO TRAMITE WESTERN UNION PRIMA DEL 15 LUGLIO RICEVERA' IL PAGAMENTO, VIA BANCA, IN QUESTI GIORNI. DA AGOSTO TUTTO RITORNA NORMALE.

Di seguito il messaggio INPS:

Gentili signori,

 Facendo seguito alla precorsa corrispondenza si comunica che, per ridurre ulteriormente i disagi causati agli interessati, Citibank ha rappresentato di aver eseguito i pagamenti della rata di luglio, a beneficio dei 101 pensionati residenti nella Repubblica dominicana che non avevano riscosso a Western Union, con valuta di pagamento nel corrente mese di luglio.

Si conferma che la mensilità di agosto sarà pagata da Citibank con le consuete modalità (accredito diretto su conto bancario).

Cordiali saluti.               

Daniela Stella

Direzione Centrale Pensioni

Responsabile Team Rapporti con Patronati e Organismi Internazionali

Novitalia, ultimo romanzo di Ennio Marchetti, la patria degli italiani a cui la nuova legge nega la cittadinanza

 


“Novitalia” di Ennio Marchetti, scrittore italiano che da 26 anni vive nella Repubblica Dominicana, è molto più di un romanzo: è un atto d’amore verso l’identità italiana, un’esplorazione affettuosamente ironica del concetto di appartenenza, una saga famigliare che si trasforma, pagina dopo pagina, in un’utopia possibile.

Ambientato in tre isole sperdute del Pacifico, il romanzo segue per oltre un secolo le vicende della famiglia Ferraris, discendente di emigranti piemontesi partiti nel 1906 alla ricerca di fortuna. Quello che inizia come un semplice insediamento isolato si trasforma, attraverso generazioni di commercianti, musicisti, latin lover e idealisti, in una piccola nazione chiamata Novitalia, fondata non su guerre o rivoluzioni, ma su tradizioni tramandate, ostinazione culturale, cucina piemontese e una lingua che resiste ai tropici.

Il lettore attraversa l’epopea dei Ferraris, da Giovanni, il capostipite accolto con curiosità dal re dell’isola di Singa Mai, fino a Giuliano, il giovane presidente che nel 2025, di fronte alla negazione della cittadinanza italiana, proclama la nascita di uno Stato che non ha bisogno di riconoscimenti internazionali per sentirsi profondamente italiano.

Con uno stile che richiama i grandi romanzi sudamericani – da Jorge Amado a Gabriel García Márquez – Marchetti costruisce un mondo in cui l’assurdo si mescola al quotidiano, il comico al tragico, la nostalgia al desiderio di giustizia. Novitalia è la patria di chi si sente italiano anche quando le leggi non lo riconoscono, un rifugio simbolico per gli esclusi dalle burocrazie, ma non dalla storia.

Tra canzoni popolari, passaggi alla radio e cartelli all’ingresso delle isole che recitano “Se non siete italiani, non sbarcate”, il romanzo racconta con tenerezza e ironia l’ostinazione identitaria di chi non vuole dimenticare da dove viene.

Una lettura godibile, brillante, che fa sorridere e riflettere. Novitalia non è solo una nazione immaginaria: è una metafora potente del bisogno di sentirsi parte di qualcosa, anche quando il mondo ti volta le spalle. E in tempi di identità fragili e cittadinanze precarie, questa piccola repubblica delle emozioni ha molto da dire.

Puoi acquistare Novitalia, 416 pagine a 21 dollari cliccando qui:

https://www.lulu.com/shop/ennio-marchetti/novitalia/paperback/product-m2yynm5.html?q=NOVITALIA+Ennio+Marchetti&page=1&pageSize=4